Senza parcheggio

Se una cosa abbiamo imparato in veste di “utenti” degli anni 2000 è che non c’è da fidarsi di chi fa previsioni per il futuro. Nessuna attendibilità hanno gli scenari economici e quanto a quelli politici, meglio smetterla subito prima che ci scappi da ridere. Perfino nel campo della scienza e della tecnologia non si riescono a fare previsioni, se non serie, quantomeno non troppo ridicole. Mentre aspettavamo che razzi interstellari e automobili volanti ci cambiassero la vita, la vera rivoluzione è atterrata sulla nostra scrivania sotto forma di computer prima e di connessione alla Rete poi: un evento di cui nessun aruspice ci aveva avvisato.

Perché dunque dovremmo dar retta a chi ancora si ostina a guardare avanti di venti o trent’anni quando - chi lo sa? - magari mercoledì prossimo Trump avrà già premuto il bottone “fine di mondo”? Per due ragioni: la prima è che, dovessimo sopravvivere, tra un quarto di secolo o giù dì lì avremo l’occasione, sempre gratificante, di sorridere per l’ingenuità del passato; la seconda è che le previsioni magari sbagliano sul futuro, ma quasi mai sul presente.

Dunque, prestiamo pure ascolto a Henrik Christensen, ingegnere dell’università Georgia Tech, il quale sostiene che i bambini nati in questi anni «non guideranno mai l’automobile». Questo perché l’automobile li porterà a destinazione senza bisogno di essere guidata, manovrata, parcheggiata da loro: farà tutto il computer.

Come detto, non sappiamo se Christensen ha visto giusto. La sua “previsione” per noi, ha un solo valore: ci consente di immaginare le nostre vite prive di quel “rito di passaggio” ( o in alcuni casi, come quello del sottoscritto, di “rifiuto”), che è stata l’automobile. Immaginare una futura società di non guidatori è immaginare un mondo popolato di persone molto diverse da noi, che spesso viviamo due vite: quella di bipedi e quella di esseri a quattro ruote. Cosa faremo dell’energia mentale risparmiata nel non parcheggiare? Le prospettive si intuiscono esaltanti. O spaventose.

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