Speriamo sia finita la settimana dell’imperativo

È stata la settimana del grande caldo e dell’imperativo: per la salute fisica dei più anziani e per quella mentale di tutti gli altri speriamo sia finita una volta per tutte.

Sul grande caldo potremmo chiamare in causa il cambiamento climatico e auspicare le necessarie modificazioni del comportamento umano per tentare di arginarlo, ma basta ascoltare, nel video dell’arresto della capitana della Sea Watch, la voce fuori campo che strepita “Ti piace il pisello nero, eh?” (traduzione non letterale dal siciliano) per estinguere ogni speranza di modificare in meglio gli esseri umani. In fondo, incomincio a dubitare che ne valga la pena.

Personalmente, non ho idea di come si possa affrontare il problema delle migrazioni di massa: so però che non ci stiamo neanche provando. Per prima cosa, infatti, dovremmo riconoscere che è una faccenda complicata e che, poco ma sicuro, a una soluzione non si arriverà mai né con i proclami sui “porti chiusi” né con la vaghezza dell’apertura “senza se e senza ma”.

Dirò di più: non solo non stiamo provando a dare una soluzione al problema, ma non ne stiamo neanche parlando, perché non si può dire appartenga alla sfera della parola quel che si è letto nei commenti social circa il caso della Sea Watch. Fateci caso: in pochi giorni è stato assestato il colpo di grazia alla lingua italiana che da strumento per comunicare è diventata maglio per schiacciare e macete per ferire. E qui, va detto, l’ignobile battaglia la stanno vincendo a mani basse gli anti-immigrati, che si riconoscano o meno in Salvini o simili.

Dicevamo della settimana dell’imperativo: nei giorni precedenti l’attracco della nave a Lampedusa, e nelle ore immediatamente successive, non si è sentito, o letto, un verbo coniugato in altro modo: la nave va affondata, la capitana va arrestata, processata e - nessun altro esito giudiziario appare ammissibile - condannata.

Un’accozzaglia di ometti col cervello di un moscerino e l’ego di Stalin che abbaiano ordini, impongono sentenze, esigono che lo Stato e la società tutta si muovano all’unisono con i loro desideri, espressi sulla base di convinzioni confuse e discutibili.

Con quale diritto questa parte di connazionali vorrebbe decidere per tutti proprio non si sa. Forse quello che deriva loro dall’essere cittadini o maggioranza dei medesimi? Ma allora dovrebbero sapere che i diritti si bilanciano con i doveri e che, comunque, la carta costituzionale non concede a nessuna maggioranza i poteri assoluti , salvandoci così, nel contempo, dai totalitarismi e dal ridicolo.

O, forse, qui si parla del diritto che verrebbe dalla cultura, da una sorta di civile omogeneità nazionale, che però, se esiste, si guarda bene dal suggerire a ognuno di noi derive autoritarie e disumane.

Ma queste cose certo non si capiscono quando, in giovane età, si è passato il tempo a sonnecchiare sui banchi di scuola, a grattarsi l’ego, a fumare al cesso e a pensare con le parole della televisione.

Scopriamo adesso che, profondamente addormentati mentre il prof spiegava le sottigliezze del condizionale, erano tutti svegli durante la lezione sull’imperativo. Risultato, sanno comprendere solo quello. E infatti scattano sull’attenti quando il primo ducetto che passa ordina loro di lucidargli le scarpe.

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