Storia dei timidi

La timidezza uccide. Non si tratta di un’immagine figurata. L’esempio tipico è quello del boccone di traverso in pubblico, ovvero in mensa o al ristorante. La reazione di chi è vittima di questo incidente è spesso quella di alzarsi e defilarsi, ovvero di escludere dalla vista altrui la propria presenza tossicchiante e soffocante.

Si tratta, come è evidente, di un istinto pericoloso: se in tale frangente non permettiamo a qualcuno di soccorrerci, corriamo bene il rischio di finire all’altro mondo. Al riparo del ridicolo che tanto temiamo, ma sempre all’altro mondo.

Sulla timidezza si sono fatti tanti studi, alcuni dei quali ne hanno evidenziato l’intrinseco pericolo, addirittura la vena assassina, come abbiamo appena visto. Altre analisi hanno voluto invece sottolinearne l’aspetto positivo: spingendole all’isolamento e all’introspezione, la timidezza ha di fatto creatole condizioni perché non poche grandi menti potessero esprimersi al meglio. Se Kafka, invece di essere stato un timidone, si fosse scatenato ogni sera al tabarin, certo si sarebbe divertito di più, ma oggi noi non disporremmo dei suoi capolavori: deprimenti, d’accordo, ma sempre capolavori.

Da interessato alla materia, mi chiedo spesso se sarebbe possibile scrivere una Storia mondiale della timidezza. Sarebbe infatti interessante scoprire che alcuni grandi eventi sono stati generati da singoli atti - o mancati atti - di timidezza. Oppure, al contrario, che in certi casi un rossore in più, un sospetto di vergogna e un indizio di ridicolo avrebbero potuto evitare guerre piuttosto che massacri, invasioni piuttosto che dittature.

Un progetto troppo ambizioso e scientificamente inammissibile, eppure, come idea, affascinante: un grande atlante storico della timidezza. Mi farei in quattro per lanciarlo e promuoverlo al quattro venti se non fossi, come sono, timido.

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