Truffatore uno e due

Riconosciamolo: stare al mondo equivale a sapersi difendere. Sarà brutto metterla così, significherà cedere a una visione delle dinamiche umane che le vorrebbe orchestrate solo e soltanto da scontri e dissapori ma, sempre più spesso, dobbiamo arrenderci all’evidenza: il prossimo ci sfida con una serie di atteggiamenti che vanno dall’apertamente aggressivo al più subdolo passivo-aggressivo e noi dobbiamo essere pronti a rispondere. A nostra volta, da “aggrediti” ci trasformeremo in “aggressori”, perché il contributo alle opposte tensioni che reggono la società dobbiamo fornirlo in entrambe le direzioni.

C’è però chi dell’arte - o dovrei dire del “primordiale istinto “- di aggredire fa uno strumento ancora più pericoloso: non solo atto a offendere in senso psicologico, ma anche a procurare vantaggi tanto concreti quanto illeciti.

Sto parlando dei truffatori, maestri (cattivi) di interazione umana al punto da convincere il prossimo (specie se fragile) a commettere atti di autolesionismo: c’è chi ha consegnato la pensione al primo venuto e chi ha firmato lauti assegni a perfetti sconosciuti.

Ma come fanno i truffatori a truffare? Secondo Maria Konnikova (che non gioca a tennis ma si interessa di psicologia), le tecniche fondamentali sono due, di impostazione opposta. Nel primo caso, il truffatore incomincerà con il chiedere alla vittima prescelta un piccolo favore: una volta tastato il terreno, procederà nelle richieste fino ad arrivare all’obiettivo che si è prefisso. In alternativa, il truffatore partirà con un’istanza spropositata, quasi assurda: incassato il nostro ovvio “no” farà leva su quel tanto di senso di colpa lasciato in noi per ottenere quanto cercava fin dall’inizio.

Insomma: siamo esposti al tiro incrociato del ricatto e dell’abuso. Ch’è chi dà la scalata alla nostra disponibilità e chi la forza usando l’ariete. Esserne consapevoli farà forse di noi esseri più chiusi, ma anche attenti a misurare le parole altrui. Chissà che non riesca utile per migliorare il nostro Paese...

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