Una soluzione pratica per la fine del mondo

Di fronte alla vastità, e alla particolarità, dei campi esplorati senza posa dalla scienza resto sempre allibito (e ammirato). Soltanto a scorrere l’homepage di sciencemag.org - il sito web della rivista pubblicata dalla Aaas (American association for the advancement of science) - ci si imbatte in notizie stupefacenti, alcune esaltanti, altre preoccupanti: la missione spaziale giapponese che è riuscita a prelevare campioni di roccia sotto la superficie di un asteroide, la scoperta di un verme che mangia la pietra ed è in grado di deviare fiumi, la campagna per eliminare la poliomielite che ha subito una battuta d’arresto, le prove del più antico uso umano della marijuana (in Cina, 2500 anni fa) e la soluzione definitiva di un problemuccio da niente: il cambiamento climatico globale.

Proprio così: una soluzione c’è e, anche se forse ho esagerato nell’annunciarla come definitiva, sembra molto promettente. E anche pratica, tutto sommato: basterebbe piantare un miliardo di ettari di foreste. Un ettaro, per quei pochi tra noi che non maneggiano ogni giorno ettari, are e centiare, è una superficie di diecimila metri quadrati o, se preferite, l’area racchiusa in un quadrato di 100 metri di lato. Prima che a qualcuno occorra l’urgenza di dividere il quadrato in triangoli e incominci a costruire sulle ipotenuse come se non ci fosse un domani, sarà meglio tornare a bomba.

Basterebbe dunque piantumare a foresta un miliardo di questi quadrati per assorbire, così sostengono all’Arizona State University, due terzi dei 300 gigatoni di anidride carbonica sparati nell’atmosfera dalle attività umane a partire all’incirca dal 1800. Per chi di voi è ancora lì a trastullarsi con gli ettari, un gigatone è l’equivalente energetico di un miliardo di tonnellate di tritolo, ovvero quanto basta per produrre, a Capodanno, un botto indimenticabile.

Assorbiti due terzi dei 300 gigatoni di cui sopra, staremmo molto meglio e non dovremmo preoccuparci di variazione climatiche (ovvero aumenti della temperatura media del globo) almeno fino al 2050. Abbastanza per convincerci ad agguantare la vanga e incominciare a creare foreste a partire dal parcheggio davanti a casa.

In realtà, la stima del miliardo di ettari - è facile capirlo - non prelude a nessun programma specifico di aumento della superficie riservata alle foreste a livello globale. Le nazioni non riescono a trovare un accordo generico sulla riduzione delle emissioni, figuriamoci se possono programmare un intervento coordinato per restituire alla natura una simile superficie.

Il calcolo dell’Università dell’Arizona serve più che altro a darci, ancora una volta, la misura del danno: per aver bisogno di un cerotto da un miliardo di ettari, la Terra deve proprio aver sulle ginocchia una bella sbucciatura. Ma il messaggio che questa stima sottintende è forse ancora più sottile: una soluzione c’è, ci suggerisce il pianeta, basterebbe tornare allo stato della natura preesistente al nostro incessante lavorio, alle nostre ambizioni, al progresso, alla crescita, al Pil, al fatturato, al rapporto costi/ricavi. Insomma, basterebbe che la nostra specie si facesse umilmente da parte. Non so voi, ma io sento che già fa più caldo.

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