Vitaccia grama del cittadino “consapevole”

Fateci caso: alla fine siamo sempre noi. Quelli che, il venerdì, si divertono a scrivere post sarcastici sul Black Friday, ovvero a mettere alla berlina, con non poche ragioni, questo ennesimo specchietto alzato per attrarre la nostra attenzione e affondare con tutto comodo le mani nelle nostre tasche. E siamo anche quelli che, il lunedì successivo, si preoccupano per i dati economici: il Paese non cresce, il Pil si sgonfia come un soufflé venuto male. E il governo che fa? Non incentiva, non spinge, non infrastruttura, non detassa. Al contrario: impone balzelli e regole, ostacola quando dovrebbe lasciar fare ed eventualmente incoraggiare iniziative utili a sostenere l’economia. Tipo, appunto, il Black Friday.

Un esempio, forse il più marginale, delle contraddizioni in cui cade, direi inevitabilmente, il cittadino che, munito di coscienza, si appresta ogni giorno a partecipare alla comunità umana con la speranza, spesso vana ma non per questo meno commendevole, di rendersi utile e di tentare, se non proprio del bene, almeno di non fare del male.

Ecco allora che il cittadino di cui sopra vorrebbe essere informato e consapevole, ma presto si scopre consapevole e informato solo del fatto che i meccanismi interni del mondo sono enormemente complicati e le conseguenze di un gesto compiuto oggi e qui sono imprevedibili domani e altrove, imponderabili nel tempo e nello spazio.

Allora si aggrappa a comandamenti che sembrano dargli indicazioni sicure e, per esempio, drizza le orecchie ogni volta che sente la parola “sostenibile”. Ma presto capisce che è difficile agire “sostenibilmente” 24 ore su 24, che qualcosa di “sostenibile” si può fare spesso ma non sempre: alla fine bisogna pure accettare qualche compromesso, qualche rinvio, adottare un male minore per scongiurarne uno maggiore.

Questo cittadino procede allora in una nebbia di confusione, di possibili alternative, di nuovi strati di conoscenza che conducono a nuovi orizzonti di ignoranza.

Qualche volta invidia gli altri, quelli che hanno le idee chiare. Quelli per cui la soluzione è “a casa nostra” e “ tocca prima a noi”. Quelli insomma per cui il problema è facile da definire perché il problema sono gli altri. Che poi, aggiungono, tutti questi problemi non ci sono affatto. Prendete il cambiamento climatico: siccome con l’isolamento, con l’autarchia politica e culturale, non è possibile risolverlo - sarebbe a dire che è arginabile solo attraverso la cooperazione internazionale - allora dicono che non esiste. Semplice, no?

Così facendo la vita diventa più chiara, l’orizzonte si fa terso, il dubbio scema e le contraddizioni, soffocate nella culla della consapevolezza, non si presentano neppure.

Intanto il cittadino “consapevole” vaga come un prigioniero costretto a giocare a mosca cieca in un cortile dove gli altri lo prendono a calcioni negli stinchi (e a volte un po’ più in su): vitaccia stancante e perfino un tantino infame, la sua. Non gli resta, la sera, che una soddisfazione: aver scoperto durante il giorno un’altra impagabile sfumatura di questa bizzarra e intricata esistenza. E per ogni mistero in più che essa avrà generato, ci sarà una nuova meraviglia che gli si offrirà per essere raccolta.

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