È in aumento il numero di persone che si dimettono dal lavoro dopo la fine della pandemia

Economia Il rapporto dei cittadini con il lavoro è cambiato significativamente dopo il 2020: maggiore mobilità, ricerca di nuove opportunità ma anche più contratti interrotti dopo che è venuto meno il blocco dei licenziamenti. Ecco come cambia il mondo del lavoro in Italia

“Great Resignation” è il nome che è stato assegnato negli Stati Uniti a un trend economico ormai sbarcato anche in Italia: a partire dal 2021, aumentano sempre di più i numeri delle persone che decidono di lasciare il proprio posto di lavoro, dando le dimissioni.

Le dimissioni avvengono per scelta o per necessità, per le motivazioni più varie: intanto però i numeri, dall’allentamento della stretta pandemica, sono sempre in aumento.

I numeri del fenomeno

I motivi possono essere vari, ma di fatto la tendenza osservata a partire da due anni a questa parte si conferma con numeri in salita. Il dato totale che riguarda le dimissioni presentate nel 2022 ammonta a 1,6 milioni, ovvero 22 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2021, che ne aveva registrate circa 1,3 milioni. Si tratta di un fenomeno che negli ultimi tre mesi ha toccato più da vicino le donne (il numero di dimissioni nel terzo trimestre del 2022 è aumentato del 10,2% per il genere femminile, del 4% per il genere maschile). Nel terzo trimestre del 2021 infatti ci sono state 35mila rapporti di lavoro interrotti per dimissioni del lavoratore in meno rispetto allo stesso periodo nel 2022.

Il trend di crescita è segnalato nella nota stessa con cui il Ministero del Lavoro informa di questo fenomeno all’interno delle comunicazioni obbligatorie: infatti tra le cause di cessazione del rapporto di lavoro, le dimissioni costituiscono il dato più alto che ha superato anche quello dei pensionati e dei licenziati.

Anche i licenziamenti sono in aumento

Anche questo dato in realtà è in aumento: tra gennaio e settembre 2022 infatti i rapporti di lavoro interrotti per decisione del datore di lavoro sono stati 557mila, contro i 379mila dei primi nove mesi del 2021. La differenza sostanziale tra i due periodi di tempo presi in considerazione è che nel 2021 era ancora in vigore il blocco dei licenziamenti, introdotto con con un decreto legislativo a marzo 2020 e prorogato fino ad aprile 2022 - anche se sono state numerose le modifiche apportate alla misura nel corso dei due anni - con l’obiettivo di salvaguardare il tessuto occupazionale e produttivo italiano nel corso della grave crisi economica innescata dalla pandemia.

Ma la cessazione del blocco dei licenziamenti non è l’unica spiegazione per l’aumento di dimissioni e licenziamenti: gli osservatori infatti intravedono in questo fenomeno una maggiore e più sana mobilità del mercato del lavoro, proprio dopo la crisi economica legata al Covid. Sono tornate a esistere maggiori opportunità professionali che spingono le persone a cambiare percorsi lavorativi, specializzandosi sempre di più, soprattutto per quanto riguarda le professioni più tecniche. Anche la rivoluzione del modo in cui i lavoratori vedono il lavoro dopo la pandemia ha avuto un impatto in questo senso: sono sempre di più le persone che valorizzano, nella scelta di una posizione lavorativa, la possibilità di lavorare in smart working e garantirsi così una maggiore autonomia e un miglior equilibrio tra vita privata e professionale.

Un benessere o un malessere per il mondo del lavoro?

Mobilità è sinonimo di vitalità e in questo senso il dato può essere inteso in una prospettiva positiva. La ripresa dei licenziamenti però potrebbe anche essere connessa a una maggiore incertezza economica di alcuni settori produttivi, oggi in crisi. L’aumento del numero di dimissioni e licenziamenti va infatti confrontato con un altro numero significativo per fare un’analisi del panorama del mondo del lavoro in Italia: la disoccupazione nel paese si attesta attorno a una media del 7,8% (dato aggiornato a novembre 2022).

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