Il manifesto di Papa Francesco
«La povertà non può attendere»

Un documento potente e pragmatico, e insieme intriso di spiritualità e umanità. Tale è l’«Evangelii gaudium», secondo testo magisteriale del papa latinoamericano pubblicato ieri

Un documento potente e pragmatico, e insieme intriso di spiritualità e umanità. Tale è l’«Evangelii gaudium», secondo testo magisteriale del papa latinoamericano pubblicato ieri. Si tratta di una Esortazione apostolica rivolta agli ecclesiastici e ai fedeli laici che in 220 pagine riassume il sogno di papa Bergoglio di una Chiesa missionaria, che vada verso le periferie, una Chiesa dei poveri capace di parlare all’uomo di tutte le culture, e da tutti imparare a discernere i segni dell’azione di Dio nel mondo.

Tra gli spunti più rilevanti del documento, la disponibilità di Bergoglio ad attuare anche «una conversione del papato» e dell’esercizio del ministero petrino, per rispondere alle esigenze della missione e dell’unità dei cristiani; la richiesta ai dirigenti politici di una riforma finanziaria nel senso dell’etica e la affermazione del legame intimo tra «difesa della vita nascente e difesa di qualsiasi diritto umano».

La sensibilità latinoamericana del Pontefice inoltre si esprime in pagine quasi poetiche sulla città multiculturale che insegna «nuovi paradigmi» e nuovi modi di relazionarsi a Dio, e sui migranti come sfida alla inclusione e alla integrazione, «sfida particolare per un Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti». Alcuni argomenti, come la mondanità della Chiesa o la sua tentazione a trasformarsi in una dogana, emersi nei primi mesi di pontificato soprattutto nelle omelie delle messe del mattino a Santa Marta, trovano nella Esortazione una spiegazione programmatica, e esprimono la coerenza tra il modello di Chiesa che il Papa ha in mente e il suo modo di vivere.

«Siamo colpiti - ha osservato il portavoce Federico Lombardi- dalla coerenza tra ciò che il Papa dice e quello che fa: è immagine vivente di questo stile di annuncio del Vangelo al mondo di oggi». Potrebbe suscitare sviluppi e dibattito la «conversione del papato», postulata nel paragrafo 32 del documento con la necessità per il vescovo di Roma di attenzione per i “suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle esigenze della evangelizzazione. «Siamo avanzati poco», constata il Papa, nel senso richiesto da Wojtyla con la «Ut unum sint» del ’95. «Ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale», scrive il Papa per spiegare che l’auspicio del Concilio sul contributo delle Conferenze episcopali e una collegialità concreta, «non si è pienamente realizzato».

Papa Francesco ribadisce la propria la propria preferenza per una Chiesa magari «accidentata» perché esce da sé per la missione, che autorefenziale e esclusiva. «La missione - ricorda - si incarna nei limiti umani», anche se «a quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare una imperfetta dispersione». Il documento papale non può non suscitare l’interesse non solo dei cattolici nella sua denuncia del «grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo», il rischio cioè di «una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». «Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene».

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