Il ricordo di Como
Diecimila deportati nei campi nazisti

Celebrata a Villa Olmo la Giornata della Memoria

Se duecento vi sembrano tante, sappiate che invece sono poche. Valter Merazzi, presidente del Centro Studi Schiavi di Hitler di Cernobbio, spiega che dal 2009, da quando si commemorano gli italiani deportati, sono state consegnate più di duecento medaglie d’onore, ma le persone internate nei campi di lavoro tra il 1943 e il 1945 furono ben 10.000 solo nella zona di Como, in gran parte militari, ma anche civili, ebrei, dissidenti politici.

«In questo giorno di commemorazione - continua Merazzi intervenuto alla Cerimonia in occasione della Giornata della memoria, a Villa Olmo dove era presente anche Ines Figini, deportata ad Auschwitz (GUARDA IL VIDEO DELL’INTERVENTO) - bisogna constatare che di loro sappiamo poco. La Shoah con il suo orrore infinito porta a fenomeni di rimozione. Le deportazioni hanno attraversato profondamente le nostre famiglie, non è stato un fenomeno storico “altro”, ma locale, vicino, eppure è misconosciuto, emerge solo attraverso lo stimolo al ricordo».

Una scoperta che è un disvelamento: la memoria mette la storia in secondo piano ed emergono i racconti familiari di nonni e zii, archiviati come episodi privati ed ora improvvisamente riconosciuti come tasselli di un dramma collettivo. La Giornata della Memoria celebrata ieri a Villa Olmo dalle autorità è quindi più di una occasione per ricordare: è il momento per fare luce nelle pieghe della storia. Molti sono finiti in un cono d’ombra: ci stiamo dimenticando di chi aiutò i perseguitati ad attraversare il confine, come se Como non fosse una città di frontiera.

«Nel Comasco confluì un esodo silenzioso e nascosto verso la Svizzera neutrale e salvifica e in molti soccorsero chi voleva fuggire. All’interno del riconoscimento dei Giusti - auspica Merazzi - sarebbe opportuno ci fossero segnalazioni anche dalla nostra provincia. Basta cercare e studiare, cosa che poco è stato fatto in questi anni». Non tralasciare nessuna memoria come occasione di conoscenza di sé è stata la missione degli storici intervenuti ieri.

Giuseppe Calzati, presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, nel suo ricordare per non dimenticare tiene a fare un passo indietro, al ‘38 e alle leggi razziali come atto consapevole volto a giustificare l’antisemitismo. «Gli anticorpi della nostra società erano ormai deboli e prevalsero paura e conformismo, a maggior ragione il coraggio di pochi va celebrato perché salvarono molte vite». Si apre uno squarcio sull’estate del governo Badoglio e le parole dello storico tradiscono una rabbia sincera perché le leggi razziali restarono in vigore e fu facile per le SS procedere con la caccia all’ebreo che continuò per tutto il periodo di occupazione a Roma, Milano, Torino, con la complicità della polizia italiana. Il fascismo fu parte attiva nell’Olocausto, ci furono delatori per convinzione, per convenienza, per paura.

«La giornata di oggi è - insiste Calzati - l’occasione per riconoscere le nostre responsabilità, comprendendole possiamo capire quanto l’ignoranza e la paura del diverso contribuiscano a trasformare l’altro in nemico».

L’attenzione va al volto del signor Michele Cirneco, commosso per l’onore della medaglia d’onore e basta il suo sguardo per comprendere il significato di dare un nome a ciascuno, superando i dati numerici, immensi e freddi. Il valore profondo della Cerimonia di commemorazione sta nel momento in cui si riconoscono i deportati, li si nomina, si ricostruiscono le singole vicende. Come quella di Paola Fargion che nel suo libro “18 passi” recupera parte della sua storia familiare grazie alle parole della nonna, preziosa memoria orale che supplì a quanto si tentò di cancellare con violenza.

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Eco di Bergamo Ines Figini