«Quando fai una certa esperienza, come quella dell’affido, ti rimane dentro. Si creano legami forti, si ha modo anche di riflettere sui problemi che ci sono al mondo e rendersi conto di quanto siamo fortunati».
Sta tutta in queste parole la spiegazione del perché si decide di imbarcarsi in una esperienza di affido familiare, di mettersi cioè a disposizione di un’altra famiglia in difficoltà per aiutarla e sostenerla ad affrontare i disagi della quotidianità. È la volontà di mettersi in gioco, di rendersi utili, di ricreare legami e solidarietà come ai vecchi tempi delle famiglie allargate, quando l’aiuto era basato sulla prossimità.
È questo che hanno deciso di fare Stefano e Maria Luisa Girgi, coniugi di Cantù, assieme ai loro cinque figli: aiutare una giovane mamma e i suoi due bambini a superare le difficoltà. Un’opportunità possibile grazie al progetto “Una famiglia per una famiglia”, promossa dall’associazione Paideia e sperimentata con successo nel Comasco.
«Nella pratica ci viene chiesto di offrire il nostro tempo – spiega Stefano Girgi – Facciamo telefonate, teniamo i bambini due volte alla settimana dopo l’asilo, ci preoccupiamo di sapere come sta la famiglia di cui ci occupiamo». Cose semplici, ma in grado di cambiare la vita di qualcuno e di evitare che le situazioni di disagio degenerino fino al punto di dover togliere i bambini alle loro famiglie di origine. Una sorta di affido diurno che coinvolge però tutto il nucleo famigliare.
«È una cosa che può fare chiunque, tutti abbiamo delle difficoltà e delle sofferenze, ma tutti abbiamo anche grandi risorse - continua – in più c’è un tutor che è sempre presente e che aiuta a gestire l’affido. È una figura importante, sai che ci puoi contare in qualunque momento. Il nostro obiettivo è costruire relazioni - aggiunge - accompagnare quella mamma sola, che non ha legami con la comunità, a trovare la sua autonomia».
La famiglia Girgi è arrivata al progetto di Paideia dopo tredici anni di affido di minori, e con un notevole bagaglio di esperienza.
«Il primo affido è stato una bambino di dieci anni – racconta Stefano Girgi – È stato con noi fino a quando ne ha compiuti 21. È cresciuto con i nostri cinque figli, che all’epoca avevano tra i sei e i dodici anni. Ed è tutt’ora parte della nostra famiglia, continuiamo a sentirci».
«Il secondo poi è stato un affido di emergenza – continua – un neonato marocchino, ultimo di cinque figli, che ci è stato portato direttamente dall’ospedale. L’ultimo affido, invece, è stato con un altro ragazzino di dieci anni, con una famiglia problematica alle spalle e problemi più grossi di noi».
Un percorso impegnativo che però non gli ha fatto perdere la voglia di aiutare gli altri, anche mettendo a disposizione le proprie conoscenze e competenze.
«Ci siamo resi disponibili a questa nuova esperienza di affido perché avevamo sentito che la famiglia in difficoltà era quella di una mamma peruviana – dice ancora Girgi – e noi abbiamo vissuto in Perù per quattro anni. Sappiamo cosa vuol dire essere lontano da casa, da soli, senza avere nessuno su cui poter contare».