Yara, tre mesi dopo
si riparte dal Dna

Dopo tre mesi di carcere, Massimo Bossetti, accusato di essere l’assassino di Yara Gambirasio, continua a dirsi innocente. I suoi difensori hanno presentato un’istanza di scarcerazione chiedendo un nuovo prelievo sugli indumenti

E’ in base a una ’’rilettura critica” degli elementi che hanno portato in carcere il 16 giugno scorso Massimo Giuseppe Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio che i suoi avvocati chiedono la scarcerazione del muratore di Mapello. Soprattutto, però, gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni puntano a minare alla base quello che è l’elemento più pregnante a carico di Bosseti: il suo Dna sui leggings e sugli slip della ragazza uccisa. Non chiederanno però un’ulteriore comparazione tra il Dna trovato sulla vittima e quello del muratore, dopo che quattro diversi laboratori ne hanno stabilito l’identità, ma un nuovo prelievo. “Perché le prove - spiegano gli avvocati - si creano in contraddittorio”. E l’estrazione e le analisi del Dna che hanno portato in carcere Bossetti, ormai tre mesi fa, in contraddittorio, quindi con la partecipazione dei consulenti della difesa, non si sono svolte.

E se non fosse possibile un nuovo prelievo? “Ne trarremo le

conseguenze in base al Codice”, rispondono, adombrando, senza parlarne esplicitamente, una possibile inutilizzabilità in dibattimento della prova regina.

Nella richiesta di scarcerazione presentata al gip Ezia Maccora non si fa riferimento alle testimonianze emerse in seguito all’arresto (due uomini avevano sostenuto di avere una relazione con la moglie di Bossetti, mentre marito e moglie si erano sempre descritti come una coppia serena e con un’esistenza di routine). Nemmeno ai risultati degli accertamenti sui computer di Bossetti da cui era emerso che erano state digitate le parole “sesso” e “tredicenne” (Yara fu uccisa a 13 anni) su un motore di ricerca. Una circostanza già contestata in un interrogatorio a Bossetti il quale aveva spiegato di non essere stato lui a digitarle, mentre la moglie, di fronte alla domanda, si era avvalsa della facoltà di non rispondere.

Gli avvocati, invece, nel chiedere che il muratore lasci il carcere, cercano di dare una spiegazione alternativa degli elementi alla base dell’ordinanza di custodia cautelare. Del fatto, per esempio, che del materiale edile, anche polvere di calce, sia stata trovata sul corpo della ragazza (ma buona parte degli abitanti di Mapello e Brembate di Sopra lavora nell’ edilizia). Così come ritengono si essere in grado di spiegare perché il cellulare del muratore si sia agganciato, il pomeriggio del 26 novembre del 2010, quando Yara sparì dalla palestra di Brembate, alla stessa cella di quello della ragazza. Bossetti aveva già spiegato che in quel periodo lavorava in un cantiere a Palazzago ed era solito passare davanti alla palestra nel tornare a casa perché quello, pur essendo più lungo, era il tragitto più scorrevole. Quindi, per gli avvocati, non vi sono quei gravi indizi di colpevolezza che ne impediscano la

scarcerazione. La parola passa ora al gip che avrà cinque giorni per decidere se Bossetti debba rimanere in carcere o possa tornare un uomo libero.

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