«Anche Papa Francesco
ricorda la nostra funzione sociale»

La relazione completa del presidente di Confcooperative Mauro Frangi

Ecco la relazione completa del presidente Mauro Frangi

Amici e colleghi cooperatori, Autorità, gentili ospiti,

rivolgo a tutti Voi un cordiale benvenuto all’Assemblea 2013 di Confcooperative Como.

Il benvenuto più caloroso va, ovviamente, ai cooperatori che partecipano per la prima volta

all’Assemblea dell’Unione Provinciale.

Le Associazioni funzionano e crescono solo con la partecipazione fattiva e motivata dei soci.

Solo la partecipazione moltiplica i punti di vista, consente di generare relazioni e legami vitali

tra le persone e le imprese, aumenta le opportunità per tutti.

Per questo nessuno può sottrarsi alla passione della responsabilità e della solidarietà.

Abbiamo scelto di aprire questa nostra Assemblea con un messaggio di straordinaria

eccezione.

E’ un breve video che vi propongo di guardare ed ascoltare insieme.

1. “Tenere viva la memoria della nostra origine” e, insieme, “rivestire di novità la continuità”.

Questo è il messaggio e l’impegno che le parole di Papa Francesco -nel suo

videomessaggio al terzo Festival della dottrina sociale della Chiesa, svoltosi a Verona dal

21 al 24 novembre scorso - ci consegnano.

Mi permetto di partire proprio dal medesimo punto da cui ha iniziato Papa Francesco.

Le cooperative dentro la crisi hanno svolto -in Italia e a Como -la “funzione sociale”,

sancita dall’articolo 45 della Costituzione Repubblicana.

L’hanno svolta aldilà di ogni aspettativa.

Hanno retto all’urto della crisi e incrementato l’occupazione complessiva.

In alcuni settori questo apporto è stato straordinario.

I recenti Censimenti ISTAT -quello delle imprese e quello delle istituzioni no profit -ci

consegnano una fotografia chiarissima.

Mi soffermo solo sui dati del nostro territorio provinciale. Ma in altre parti del Paese i

fenomeni sono stati ancora più ampi.

Nel decennio della stagnazione prima e della recessione poi, le cooperative sociali sono

quasi raddoppiate di numero (+98%) e hanno più che raddoppiato l’occupazione

complessiva (+132%).

Erano un fenomeno di nicchia nel 2001. Sono oggi un protagonista del nuovo Welfare.

Davano, alla data del Censimento (2011), lavoro a 3.628 cittadini comaschi.

Il dato è decisamente superiore se non ci limitassimo a guardare solo ai rapporti di lavoro

subordinato, ma aggiungessimo a questi le centinaia di rapporti di lavoro autonomo e tutte

le altre forme contrattuali con cui si crea e si distribuisce il lavoro nella nostra società.

L’occupazione si è quasi raddoppiata (+96%) anche nelle cooperative diverse dalle

cooperative sociali.

L’ISTAT attesta che sono 10.146 gli occupati con contratti di lavoro subordinato dell’intero

sistema cooperativo comasco (+108%). Erano 4.882 alla data del precedente censimento.

429 imprese (+ 9%), con un occupazione media passata nel decennio da 12 a 24 unità,

attestandosi, quindi, ad un livello decisamente superiore a quella dell’intero sistema

imprenditoriale comasco (4 unità).

Nel frattempo, l’occupazione nella nostra provincia si è ridotta pesantemente, sia nelle

Istituzioni Pubbliche (- 17%) che nel sistema delle imprese (- 8%).

Quasi 17 mila occupati in meno. 15 mila nelle imprese e poco meno di 2 mila nelle

Istituzioni Pubbliche. 6 mila in più nel sistema cooperativo.

Si tratta di un apporto all’economia provinciale credo indiscutibile.

Le cooperative non lo hanno realizzato per magia.

Ma perché, direbbe Papa Francesco, “hanno tenuto viva la memoria della loro origine”.

Hanno esercitato fino in fondo la loro missione e vocazione mutualistica.

Si sono comportate da vere cooperative.

2. Una recente ricerca di Unioncamere ci mostra l’altra faccia della medaglia.

I dati sono, in questo caso, nazionali.

Il valore aggiunto in cooperativa è cresciuto dal 2006 al 2011 (+ 24%).

Quattro volte di più di quello delle società di capitali (+6%).

Ma la redditività delle imprese cooperative è diminuita tredici volte di più (-65%) di quanto

è avvenuto per le società di capitali (- 5%).

E’ la prova che, messe di fronte alla scelta tra un posto di lavoro in più o un po’ di utili in

più, le cooperative hanno fatto la scelta giusta.

Hanno portato avanti l’impresa mutualistica anche là dove altre imprese si sarebbero

arrese.

Ciascuno fa il suo mestiere. E il carattere primario delle cooperative è il mutualismo.

Dovrebbe bastare questa considerazione a far capire a tutti -alla politica nostrana e,

soprattutto, all’Europa della tecnocrazia -che il pluralismo delle finalità imprenditoriali e,

conseguentemente, quello delle forme giuridiche e delle strutture di impresa, sono

ricchezze per la vita economica e sociale di una comunità, di un Paese.

Il nostro apporto al Paese nel tempo della crisi è stato, quindi, indiscutibile.

Anche il nostro apporto per la ripresa della crescita e dell’occupazione deve essere

altrettanto robusto ed indiscutibile.

Non possiamo accontentarci di vivacchiare o di azioni difensive.

Dobbiamo dare vita -con inventiva e sapendo guardare al futuro -ad una nuova stagione

di proposte e di sviluppo.

Con nuove tipologie cooperative in nuovi campi. Con la capacità di generare innovazione.

Promuovendo la soluzione cooperativa come una possibilità in più, una risorsa in più, per

contribuire allo sviluppo del nostro territorio.

Tornerò su questo punto nella parte finale.

3. Perché gli impegni e le proposte di sviluppo per il futuro sono cose serie solo se poggiano

su una profonda consapevolezza del presente.

E il presente ci dice che -dopo lo straordinario slancio del decennio 2001-2011 -la

situazione dell’economia cooperativa è mutata a partire dal secondo semestre 2012.

Le cooperative aderenti a Confcooperative hanno chiuso il 2012 con affanno.

Marginalità e redditività si sono erose ulteriormente anche nel 2013.

Chi non è stato abbattuto dall’impatto della crisi, è sempre più logorato dal trascinamento

interminabile delle difficoltà.

Difficoltà che hanno impattato su imprese rese più deboli dall’aver sacrificato, per reggere

anni di crisi, le riserve indivisibili accantonate nel tempo.

Le liquidazioni e le cessazioni sono aumentate.

Oltre tre quarti delle liquidazioni si concentrano in micro-imprese.

Nel complesso Confcooperative Como registra, a fine 2012, rispetto all’anno precedente,

un arretramento del numero delle imprese aderenti.

E‘ la prima volta che accade dal 2004.

Il numero delle liquidazioni (13, 8 volontarie e 5 coatte) supera il numero delle nuove

adesioni (11).

Il 2013 migliora leggermente (10 nuove adesioni e 5 liquidazioni, oltre a un recesso e ad

una esclusione), ma non a sufficienza da tranquillizzarci.

Insieme alle imprese aderenti si erode anche il numero dei soci (-6%), che si attestano

sopra le 24 mila unità.

Il valore della produzione cresce (+ 4%), attestandosi, al netto del sistema del credito

cooperativo, a 131 milioni di euro.

Segna, invece, una battuta d’arresto, anche qui per la prima volta da oltre un decennio,

l’occupazione, che si riduce di 95 unità.

Frena sensibilmente la crescita del patrimonio delle imprese, nonostante gli straordinari

sforzi fatti dai cooperatori -in larga parte persone che vivono del loro stipendio, a volte

modesto - per accrescere la capitalizzazione delle loro imprese.

La capitalizzazione è la strada maestra per mettersi in condizione di crescere e di

competere. Per questo il suo rallentamento ci preoccupa.

Gli utili continuano a ridursi. Sono aumentate le cooperative in perdita.

Si appesantiscono gli oneri finanziari.

Gli effetti benefici delle misure per accelerare i ritardi di pagamento delle Pubbliche

Amministrazioni hanno iniziato a manifestarsi pienamente solo nella seconda metà del

2013.

Si è accentuato il divario tra le imprese di maggiori dimensioni e quelle più piccole.

Nella crisi vanno meglio le cooperative con una maggiore mutualità interna e con una più

alta partecipazione dei soci alla vita dell’impresa.

La fatica della democrazia interna e della partecipazione dei soci non sono una zavorra.

Al contrario. Sono una pre-condizione per fare meglio. Sono una assicurazione sulla

capacità di saper affrontare e gestire con successo le difficoltà.

L’affanno è maggiore per quelle imprese che non partecipano alle reti consortili e agli

strumenti di sviluppo imprenditoriale che queste ultime hanno messo in campo.

Per le imprese di minori dimensioni, meno capitalizzate, meno dinamiche.

Le difficoltà delle imprese si trasferiscono anche sulla vita associativa.

Maggiori difficoltà a sostenere la contribuzione e ad accedere ai servizi.

Crescenti richieste di sostegno, supporto, assistenza, accompagnamento nelle crisi.

I nostri tecnici sono sempre più spesso chiamati a gestire piani di crisi, operazioni di

ristrutturazione e rilancio, relazioni sindacali.

4. La frenata della cooperazione sociale è un fenomeno nuovo, anche se atteso e

direttamente connesso alla contrazione delle risorse pubbliche per il welfare e alle

crescenti difficoltà economiche delle famiglie.

Anche per queste ragioni abbiamo portato avanti con forza la battaglia per evitare

l’annunciato incremento dell’IVA (dal 4% al 10%) sulle prestazioni socio sanitarie ed

educative rese dalle cooperative sociali.

Un incremento del 150% che si sarebbe scaricato interamente sui bilanci già esausti degli

Enti Locali costringendoli ad ulteriori ed insostenibili tagli dei servizi di welfare oppure su

quelli, ancora più in difficoltà, delle famiglie che debbono provvedere alla cura delle

persone più fragili (bambini, anziani, portatori di disabilità...).

Con una conseguenza annunciata e segnata.

Una sensibile riduzione dell’occupazione nelle cooperative sociali.

Sembrava una battaglia impossibile, quando l’abbiamo iniziata.

Anche perché il provvedimento era sostenuto da quello che oggi sembra essere il mantra

più ascoltato nel nostro Paese: “ce lo chiede l’Europa”.

Si è trasformata in un successo.

La Legge di Stabilità attualmente all’esame del Parlamento recepisce integralmente le

nostre istanze.

Se ciò è avvenuto non è solo grazie alla sensibilità e all’impegno che la politica e i

Parlamentari -anche quelli comaschi, che ringrazio pubblicamente e a cui chiedo di

monitorare con attenzione l’iter parlamentare della norma - hanno mostrato al riguardo.

E’ perché -ed è forse la prima volta che accade, almeno in questa misura -abbiamo avuto

al nostro fianco la comunità territoriale, rappresentata dai nostri Sindaci.

Gli appelli che abbiamo rivolto alle Istituzioni Nazionali non sono stati appelli di

Confcooperative o dell’Alleanza delle Cooperative.

Li abbiamo redatti e sottoscritti insieme ai Sindaci dei principali municipi della nostra

provincia (Como, Cantù, Erba, Mariano Comense, Olgiate Comasco, Fino Mornasco,

Menaggio, Dongo), preoccupati come noi e più di noi delle ricadute sui cittadini e sulle

comunità di un provvedimento come quello immaginato.

Un provvedimento che oltre a distruggere tutele, servizi ed occupazione avrebbe avuto

come unico effetto reale quello di spostare ulteriori risorse dagli enti locali alle casse

statali, senza alcun vantaggio reale per i conti pubblici.

5. E’ questa, anche, una lezione per l’azione di rappresentanza.

Le cooperative sono ascoltate quando sono percepite come strumento per lo sviluppo

delle comunità che abitano.

Quando sono ritenute utili per la coesione sociale e lo sviluppo economico ed

occupazionale.

E’ una lezione che vale per noi e per tutte le associazioni imprenditoriali e sindacali.

In una situazione di contrazione delle risorse -pubbliche e private -non esistono rendite di

posizione di cui compiacersi o su cui cullarsi.

Attardarsi nella semplice difesa, oltre che essere sbagliato in sé, non paga.

Non serve a nulla il richiamo ai “diritti acquisiti” o al “è sempre stato così”.

La rappresentanza è efficace solo se mostra di saper perseguire interessi collettivi, beni

percepiti, dalle persone e dalle Istituzioni, come autentici “beni comuni”.

Le battaglie hanno successo e ottengono risposte coerenti, quando sono battaglie di tutti.

Battaglie per perseguire l’interesse generale e non quando sono solo la difesa delle

magari giustificate - rivendicazioni di un settore o di una parte.

E’ una lezione importante.

Perché dalla crisi questo Paese non si risolleverà grazie alla bacchetta magica della

politica o dei Governi, anche laddove dimostrassero di averla e di saperla e poterla usare.

L’azione dei corpi intermedi è decisiva e strategica.

A condizione di riscoprire, tutti insieme, la passione, il gusto e la responsabilità di mettersi

sulle spalle un pezzo di Paese e non di limitarsi a difendere i propri rappresentati e i loro

interessi di breve periodo.

A condizione di interpretare il proprio ruolo sindacale come strumento per contribuire ad

una strategia di sviluppo comune, le cui priorità sono il risultato della condivisione convinta

tra gli attori e non il prodotto di una partita a “braccio di ferro” in cui contano solo i muscoli.

Vale in generale e vale a Como.

Indica la cifra cui ancorare il rapporto tra rappresentanze economiche e sociali e politica e,

nello stesso tempo, la misura dell’impegno per qualificare ulteriormente le relazioni degli

attori economici e sociali tra loro.

6. Sono passati cinque anni dall’autunno del 2008 e siamo ancora dentro la crisi.

Dopo pochi mesi dal crollo della Lehman Brothers giornalisti e studiosi si sono affannati a

scrivere che rapidamente ci sarebbe stata la ripresa. Che tutto si sarebbe aggiustato.

Non è stato così.

E il tempo che abbiamo difronte per uscirne è lungo. Non si misura in trimestri ma in lustri.

La crisi ha accelerato i grandi cambiamenti prodotti dalla globalizzazione.

Ci siamo abituati a chiamarla “crisi mondiale”, quasi fosse una sorta di “mal comune,

mezzo gaudio”.

Ma non è così.

Dentro la crisi ci sono Paesi che crescono molto velocemente.

Paesi che si preoccupano perché crescono più lentamente di quanto vorrebbero e Paesi -

pochi in verità - che arretrano.

Purtroppo l’Italia è tra questi ultimi.

La geografia economica che abbiamo studiato a scuola -quella fatta di molti Stati, di

grande dimensione e densamente popolati, prigionieri di una perenne condizione di

sottosviluppo - sta cambiando strutturalmente e rapidamente.

Cambiano gli assetti economici e politici nel mondo. Ricchezze e poteri si spostano con

rapidità.

Viviamo -nonostante quello che ci raccontiamo ogni giorno -in un pianeta vitale, nel quale

la povertà rimane scandalosa ma diminuisce; crescono le aspettative di vita per intere

popolazioni; si moltiplicano le possibilità di interazione tra i popoli e le culture; milioni di

persone rimaste per secoli completamente escluse si affacciano vigorosamente sulla

scena.

Iniziano a “uscire dalla miseria”, a conoscere diritti, opportunità per loro inedite, benessere,

speranze di vita.

7. Sessanta milioni di italiani -meno dell’uno per cento della popolazione mondiale -possono

fare ben poco per modificare questo scenario globale.

Ma possono interrogarsi a fondo sulle ragioni per cui, dentro la crisi, le difficoltà per l’Italia

e per gli italiani sono molto maggiori che altrove.

Perché gli occhiali con cui guardiamo il futuro hanno lenti più scure di quelli di altri popoli.

Da troppo tempo il Paese non cresce. E in un mondo che corre veloce, questo significa

arretrare.

Per decenni le performances del nostro Paese sono state peggiori della media europea.

Dagli anni settanta in poi o siamo cresciuti meno velocemente della media o siamo

arretrati più velocemente.

Perché abbiamo abbandonato troppo presto l’idea di investire sul futuro, di creare

Istituzioni capaci di selezionare i migliori, di investire sulla promozione delle imprese e dei

territori.

Al contrario, abbiamo centrato il nostro Paese sulla rendita, sui consumi e sulla spesa

pubblica, sul debito.

La politica ha utilizzato le risorse pubbliche per costruire consenso.

Ha abituato pezzi di sistema economico e molte delle rappresentanze sociali, oltre ai

singoli individui, a girare sempre attorno alle risorse pubbliche.

Con il risultato che lo Stato, la burocrazia, il debito e gli interessi sul debito sono diventati

una zavorra sempre più insostenibile.

Per queste ragioni il Paese si è impoverito. Si sono ampliati i divari.

La produzione e i consumi sono entrati in una fase, quando va bene, di stallo.

Gli esclusi e i giovani sembrano non avere alcuna prospettiva di futuro.

Il 40% di loro sta al di fuori sia dei sistemi educativi che del mercato del lavoro.

E, per una larga parte del restante 60% le uniche prospettive sono quelle di andarsene a

cercar fortuna all’estero o di rimanere incatenati ad una lunga stagione di precarietà e di

marginalità.

Anche aree territoriali tradizionalmente ricche e privilegiate come la nostra hanno pagato

un prezzo rilevante.

Insieme alle fabbriche e all’occupazione abbiamo perso speranza di futuro, voglia di

metterci in gioco.

E abbiamo distrutto ricchezza e valore.

I decimali positivi di crescita che registriamo a partire da questo trimestre e quelli che le

slides dei principali Uffici Studi macroeconomici ci promettono per il 2014 non

cambieranno questa situazione.

Singoli - e piccoli, aggiungo - miglioramenti non garantiscono certo la guarigione.

8. Eppure, se guardiamo al Paese, alla nostra provincia, non mancano le situazioni positive.

Le testimonianze e le manifestazioni di una diffusa volontà di tenere duro e di reagire.

La volontà di rimboccarsi le maniche, nonostante tutto.

Sono questi gli unici veri antidoti -di cui anche i cooperatori sono parte -ad un

pessimismo inconcludente che si manifesta nella retorica del declino, della rassegnazione.

Antidoti più diffusi e più resilienti della crisi.

La voglia di aprire nuove imprese e di scommettere sul futuro, nonostante le difficoltà e le

vessazioni della burocrazia pubblica.

Nonostante si viva in un Paese che sembra osteggiare e non favorire con ogni mezzo,

come invece dovrebbe, la volontà di investire sul futuro, di intraprendere, di cimentarsi con

la sfida di creare valore per se stessi e per la comunità.

La resistenza di migliaia di imprese -spesso personali, quasi sempre piccole -per le quali

fare impresa non è gestire “un fascio di contratti”, ma portare avanti un “progetto di vita”.

Imprese il cui fine non è la massimizzazione del profitto come nei trattati microeconomici,

ma il miglioramento delle condizioni di vita proprie, della propria famiglia, dei propri

collaboratori.

Ed è un antidoto alla rassegnazione e al declino anche la rinnovata capacità dei territori

di immaginarsi un nuovo futuro di sviluppo.

Di costruire percorsi condivisi per contribuire a realizzarlo, di creare luoghi ed Istituzioni

che consentono a chi vuole mettersi in gioco di farlo con più forza e con più supporti, di

investire convintamente e congiuntamente sulle priorità strategiche per lo sviluppo del

territorio.

Lo abbiamo fatto anche a Como.

9. Ad Aldo Bonomi -e agli interlocutori che discuteranno il suo contributo -lascio

l’approfondimento di questi temi.

Il punto fondamentale è capire se e come, a quali condizioni e attraverso quali percorsi,

questi antidoti al declino e alla rassegnazione possono consolidarsi ed articolarsi per dare

corpo ad un nuovo slancio dell’economia e della coesione sociale dei nostri territori.

Mi limito a proporre due punti ulteriori dentro la discussione che seguirà.

Dalla crisi usciremo solo “re-imparando” un modo diverso di fare economia.

Per tornare a “produrre valore”, occorre diventare capaci di generare “valore condiviso”.

Un valore che sia insieme economico e sociale, capace di tenere insieme efficienza e

senso, individualismo e costruzione di comunità e di legami, innovazione, progresso

tecnico e crescita culturale.

Qualcuno ha parlato di “we-economy”.

Ma non servono le citazioni e i riferimenti culturali di matrice anglosassone.

Serve - ed è la seconda considerazione - ripartire dalle eccellenze italiane.

Quelle che hanno generato il più grande sviluppo del nostro Paese, in epoche recenti e in

altre molto più remote.

L’eccellenza costituita dalla grande tradizione dell’”economia civile”.

Quella di chi vive il mercato come luogo umanizzato. Come luogo di relazioni fiduciarie e

non rapaci.

Che legge la vicenda economica e la vita sociale come una faccenda che ha strettamente

a che fare con la cooperazione e la reciprocità tra i soggetti.

Che mette al centro e a fine dell’azione economica il “bene comune”.

Di questa storia profonda le cooperative costituiscono una delle componenti più

significative. Non da sole, certo.

E’ la storia delle imprese familiari. Che sono pur sempre il 90% dell’intero settore privato.

E’ la storia dei nostri distretti industriali. Dove imprese e comunità intere hanno

sperimentato lo sviluppo economico senza cessare di essere comunità.

E’ la storia delle banche mutualistiche e territoriali, che hanno accompagnato e sostenuto

lo sviluppo di quelle imprese e di quei distretti.

Certo, di questi modelli oggi vediamo anche le crisi; vediamo le difficoltà ad adattarsi ai

nuovi paradigmi della competizione globale.

Ma è da questa storia di eccellenza che bisogna ripartire.

10. Un’Italia che si rimette in moto, un Italia con più fiducia, ha bisogno di più cooperazione e

anche di più cooperative.

Perché siamo imprese della comunità.

Di persone che scelgono la comunità come l’orizzonte decisivo della propria azione

imprenditoriale.

Perché siamo imprese della democrazia e della partecipazione.

Perché siamo imprese dell’economia reale. Imprese che non danno stock options ai propri

dirigenti e che non delocalizzano.

Che non si gettano nelle avventure speculative, anche quando fanno finanza, come le

Banche di Credito Cooperativo.

Non girano il mondo alla ricerca di rendite volatili, ma, al contrario, reinvestono le risorse

affidate dai depositanti nel medesimo territorio che le ha generate, sostenendo famiglie ed

imprese.

Per queste ragioni siamo un asset strategico per lo sviluppo del Paese. Una risorsa per lo

sviluppo del territorio e della comunità che abitiamo.

Una comunità il cui futuro ha il medesimo orizzonte del futuro delle nostre imprese.

Ho ricordato prima che a partire dal secondo semestre del 2012, la lunga fase di crescita

anti ciclica dell’economia cooperativa sembra essersi esaurita.

Ma - anche per l’economia cooperativa - è vero quel che vale in generale.

La ripresa non possiamo limitarci ad attenderla.

Non sarà il vento di una congiuntura favorevole -che speriamo arrivi e si consolidi -a

riportarci al largo. Stare fermi ad aspettarlo al massimo ci costringe alla deriva.

Non si esce dalla crisi tornando quelli di prima.

Al contrario -nella consapevolezza delle difficoltà che le nostre imprese, il territorio, il

Paese stanno attraversando -occorre dirsi e darsi una strategia all’altezza delle sfide e

delle ambizioni che abbiamo delineato.

11. Questo chiama in gioco, in primo luogo, la natura, il ruolo e la missione dell’Unione e delle

sue strutture di servizio alle imprese.

A partire dalla concezione della rappresentanza e dell’”essere sindacato” di imprese che

ho tratteggiato prima. Ma questo, da solo, non basta.

All’associazione e alle sue strutture consortili tocca un supplemento di impegno.

Per accompagnare, orientare, sostenere ed incoraggiare le cooperative.

E’ proprio negli scenari difficili e incerti che serve il massimo di responsabilità e di

coesione.

E, insieme, il massimo di innovazione.

Se le imprese non usciranno dalla crisi tornando “quelle di prima”, anche i servizi e i

supporti dell’Associazione non potranno più essere “quelli di prima”.

Le cooperative ci seguiranno solo se ci percepiranno come utili.

Se crescerà la nostra capacità di mettere in campo servizi di nuova generazione per il loro

sviluppo imprenditoriale; se sapremo essere “incubatore” di nuove ed efficaci imprese

mutualistiche; se sapremo accompagnarle lungo le sfide evolutive decisive per il loro

sviluppo.

Non sono tempi da gestire con la normalità della routine burocratica ed organizzativa.

Anche quando questa, guardando ai numeri e confrontandosi con le realtà simili alla

nostra in Lombardia o nel Paese, potrebbe darci ragioni di compiacimento e di

soddisfazione.

E’ solo per questa ragione che con gli amici dell’Unione Provinciale di Varese abbiamo

realizzato un percorso a tappe forzate che porterà, il prossimo 13 dicembre, Massimo Galli

e Stefano Panzetta a sottoscrivere l’atto di fusione tra le nostre due società di servizio alle

imprese.

Dal primo gennaio 2014 inizierà la piena operatività su entrambi i territori “EUREKA -

SERvizi alla COOPerazione”.

Una ragione sociale che fa sintesi di quelle delle due realtà preesistenti.

Per testimoniare l’intenzione di rimanere fedeli alla nostra storia e al nostro territorio e, nel

contempo, di superarli.

Potevamo stare più tranquilli rimanendo ciascuno a casa propria. Organizzando e

cercando di far funzionare al meglio le strutture esistenti.

Sarebbe stata una battaglia di retroguardia. Non avremmo perseguito il mandato che le

cooperative ci hanno assegnato.

Abbiamo scelto di immaginare un futuro diverso. Di giocare fino in fondo -e senza reti di

protezione -la sfida di costruirlo.

Un futuro -lo dico con le parole del documento conclusivo della Conferenza Organizzativa

di Confcooperative -in cui vogliamo “rendere più accessibili alle cooperative i servizi,

favorire la massima efficienza della loro produzione ed erogazione, sviluppare l’evoluzione

dei servizi di fascia alta”.

Nasce una realtà di servizi alle imprese che, già oggi, nel sistema Confcooperative è la

seconda in Lombardia, tra le prime 10 in Italia.

Per volumi di attività, per professionalità e competenze in campo, per numero di addetti.

Ci impegneremo, insieme ai nostri collaboratori, perché rapidamente diventi la prima nella

capacità di accompagnare le imprese lungo le sfide che ho tracciato.

Per la capacità di offrire servizi di promozione, assistenza tecnica, consulenza, controllo di

gestione, finanza, formazione....

12. Ma il percorso che abbiamo intrapreso non si fermerà qui.

Proseguiremo -a tappe altrettanto forzate -per valutare insieme ai cooperatori varesini,

tempi e modalità con cui integrare e fondere anche le due Unioni Provinciali.

Lo faremo, ovviamente, in piena sintonia con Confcooperative Lombardia e

Confcooperative e nel pieno rispetto delle procedure previste dagli statuti associativi.

Non so se questa sarà l’ultima Assemblea annuale di Confcooperative Como.

So che a me piacerebbe che la prossima Assemblea annuale sia la prima di

Confcooperative Insubria.

So che questo è anche il pensiero di Massimo Galli, Presidente dell’Unione di Varese, che

molti di voi hanno conosciuto solo stamattina.

So che i Gruppi Dirigenti di Como e di Varese sono seriamente impegnati a portare a

compimento questo processo.

So che realizzandolo saremo attuatori coerenti del grande disegno di riarticolazione e di

efficientamento della presenza territoriale che Confcooperative ha lanciato a livello

nazionale con l’ultima Conferenza Organizzativa.

E che, anzi, costituisce la “prima scelta organizzativa” della Conferenza.

E so, infine, che lo stiamo facendo non per necessità o perché ci viene chiesto dall’alto,

ma per convinzioni profonde.

Perché sentiamo il bisogno di dare alle nostre imprese una rappresentanza più adeguata,

più forte e più coesa.

Perché nei tempi di crisi le cooperative chiedono di più all’Associazione, ma l’Associazione

non può chiedere di più alle cooperative.

E, dunque, crescono le esigenze di efficienza economica e di razionalità organizzativa.

Perché quanto di positivo abbiamo sin qui costruito acquista ancora più senso se lo

mettiamo interamente in gioco quale punto di partenza di un ulteriore cammino evolutivo.

Solo per i paracarri il senso sta nell’essere solidi e, al contempo, immobili.

Perché ai dirigenti associativi tocca soprattutto guardare al futuro, con l’unico obiettivo di

consegnare ai cooperatori un’Associazione più forte e più strutturata di come l’hanno

ricevuta.

E, infine, perché una rappresentanza all’altezza dei tempi richiede sinergie, massa critica,

circolazione di esperienze, idee, buone pratiche.

E’ quanto stanno facendo altri con noi, ciascuno per strade proprie ed originali.

Penso, a Como, alla recente fusione tra Api e Confindustria e alla nascita di Unindustria.

Oppure all’analogo percorso di integrazione territoriale che ha portato, sul fronte sindacale,

alla nascita la scorsa primavera della “Cisl dei Laghi”.

O su scala nazionale alla progressiva integrazione delle associazioni di rappresentanza

delle imprese dell’artigianato e del commercio in “Rete Imprese Italia”.

13. Insieme all’integrazione territoriale con Confcooperative Varese, proseguiremo lungo il

percorso dell’”Alleanza delle Cooperative”, con Agci e Legacoop.

E’ una scelta avviata e dalla quale non si tornerà indietro.

L’Alleanza serve a fare meglio quello che ogni singola Associazione prima faceva da sola.

Serve a riuscire a fare insieme quello che le singole Associazioni prima non riuscivano a

fare.

E’ stata sin qui una scommessa vincente.

Ha accresciuto la visibilità e l’autorevolezza del movimento cooperativo.

Ci ha resi co-protagonisti di un processo di coesione e di semplificazione

dell’associazionismo imprenditoriale.

In tre anni di vita l’Alleanza è progredita e si è articolata.

Nel 2012 si è completata la costituzione delle Alleanze settoriali.

Nel 2013 si è avviata - anche in Lombardia -la costituzione delle Alleanze regionali.

La leadership di Confcooperative -per numero di aderenti e per articolazione della nostra

presenza territoriale -ci impone un dovere e una responsabilità ancora maggiore, di

iniziativa, di sollecitazione, di proposta.

Anche e soprattutto, per quanto ci riguarda, a Como, dove in molti e qualificati contesti, a

cominciare dal Consiglio Camerale, sempre più spesso siamo chiamati a rappresentare

l’intero sistema cooperativo e non solo le imprese aderenti alla nostra Associazione.

Il dovere di contribuire a consolidare ulteriormente il profilo e la capacità di proposta

dell’Alleanza. L’autorevolezza dell’azione di rappresentanza.

Il dovere di far progredire una visione lucida e convincente e di successo del futuro

cooperativo.

Il dovere di dare all’Alleanza maggiore radicamento e concretezza, perché le cooperative

ne hanno bisogno e si aspettano di riceverne vantaggi effettivi e misurabili.

Il cammino dell’Alleanza prosegue in coerenza con la missione originaria.

Non sono all’ordine del giorno scorciatoie o fughe in avanti.

Non è il tempo delle “fusioni a freddo” o delle soluzioni di ingegneria organizzativa che ci

riporterebbero ai fallimenti di precedenti tentativi di unificazione.

Ma nello stesso tempo è un cammino irreversibile.

14. Sono questi gli scenari entro cui riarticoleremo la rappresentanza e l’azione sindacale.

Ma la rappresentanza, l’associazione, non è un fine ma un mezzo.

Come sempre mi ricorda Alberto, “le cooperative vengono prima della Confcooperative”.

La riarticolazione della rappresentanza serve soprattutto per concentrarci di più e meglio

sui problemi delle imprese cooperative.

Sulla loro tenuta, sul loro adattamento, possibilmente sulla loro evoluzione competitiva.

E la lettura dell’impatto della crisi sulle cooperative, che poco fa ho tratteggiato, ci indica

con chiarezza punti di forza e punti di debolezza.

Ci indica su quali linee agire per rafforzare le cooperative.

Le linee della qualità cooperativa, anzitutto. Sostenere la mutualità e la partecipazione.

Quelle della capitalizzazione e della crescita dimensionale delle imprese.

Quelle della crescita quantitativa e qualitativa dell’integrazione consortile e in rete.

Quelle dell’ancora maggiore integrazione tra cooperazione di credito e cooperazione di

altri settori.

Quelle dello sviluppo della produttività e della modernizzazione.

Quelle dell’innovazione sociale e della promozione di nuova imprenditorialità, soprattutto

tra i giovani e nelle professioni della conoscenza, della cultura e della creatività.

Altre saranno -a Como e a Varese -le occasioni per declinare in specifiche azioni di

sviluppo e di supporto alle imprese queste linee generali di intervento che costituiranno il

DNA della società comune.

Ma queste linee costituiranno l’unica cartina di tornasole con cui misurare l’efficacia, il

successo o l’insuccesso delle scelte che insieme abbiamo compiuto e compiremo.

In questo tempo difficile, si vince solo immaginando e costruendo un futuro diverso per le

cooperative e per i cooperatori.

Solo a queste condizioni ha senso un’Associazione; ha senso la rappresentanza, i servizi

e il supporto che offre alle imprese.

Se non fosse così basterebbero i commercialisti e i consulenti o le associazioni bonsai e

“fai da te” che, anche nel mondo cooperativo, molti si affannano a far nascere.

15. Le difficoltà economiche, sociali, politiche che stiamo vivendo si traducono in altrettante

emergenze.

Ai cooperatori tocca attrezzarsi per saperle affrontare.

La forza del movimento cooperativo, la sua credibilità ed il suo prestigio, stanno tutte nella

sua capacità di costruire soluzioni per esigenze insoddisfatte delle persone e delle

comunità.

Nella capacità di rendere attuale il modello cooperativo per far fronte ai nuovi bisogni che i

territori esprimono.

Apportando vitalità a un Paese ed a un territorio che ne hanno bisogno.

I cambiamenti sociali e demografici ci pongono sfide ineludibili.

Nel welfare, anzitutto. Nell’equità tra le generazioni.

Nella costruzione di un Paese veramente capace di accogliere e integrare chi lo raggiunge

e di essere davvero interculturale.

Le nuove tecnologie pervadono la nostra quotidianità. Modificano il modo con cui facciamo

ogni cosa.

Ma, soprattutto, incidono in profondità nelle modalità di relazione interpersonale.

Cambiano il nostro modo di essere.

Non è un caso che la più grande impresa mutualistica del mondo stia proprio sul web,

Wikipedia.

Siamo inseriti in un contesto che apre e allarga gli spazi d’azione per l’impresa

cooperativa.

Non serve attardarsi nelle lamentele su “come va il mondo” e nemmeno alzare richieste

impossibili alla politica, immaginando il sostegno di risorse pubbliche che non esistono più

e sempre meno esisteranno nel prossimo futuro.

Dobbiamo noi essere all’altezza. Essere capaci di ripensare il progetto cooperativo del

futuro.

Costruire “la novità nella continuità” di cui ci ha parlato Papa Francesco.

Declinando nuovi spazi di azione mutualistica e una maggiore capacità di fare rete tra le

nostre imprese e con tutti gli attori sociali ed economici del nostro territorio.

A cominciare da quelle organizzazioni (Compagnia delle opere, Confartigianato, Cisl, Acli)

cui ci legano non solo la condivisione di tante azioni, ma, soprattutto una profonda

comunanza di valori, di tradizione, di identità.

Elementi che ci legano e che vanno coltivati con energia, costanza ed assiduità.

Che dobbiamo saper tradurre in dialogo permanente, in collaborazioni stabili e strategiche,

in ulteriori iniziative comuni.

16. Concludo con alcuni orizzonti del futuro cooperativo che siamo chiamati a costruire e a

mettere in campo.

Occorre al nostro Paese un nuovo welfare.

Quello che abbiamo conosciuto si è rotto. Non funziona più.

Schiacciato, prima ancora che dalla contrazione delle risorse pubbliche e dalle scelte della

politica, dai cambiamenti demografici, dall’allungamento delle aspettative di vita,

dall’emergere di nuovi bisogni, dal moltiplicarsi e dal frammentarsi delle domande.

Non è un caso che la più grande spesa per servizi di welfare sia, in Lombardia, quella per

le cosiddette badanti. Magari “in nero”.

Non se ne esce dentro la classica alternativa stato o mercato.

E nemmeno con le Amministrazioni Locali che cercano di risparmiare qualche risorsa o

rispettare il patto di stabilità interno, appaltando qualche altro servizio all’esterno o

realizzando società a controllo pubblico per la gestione privatistica dei servizi.

Se ne esce lavorando insieme -cooperazione sociale e Enti Locali -a ri-progettare il

welfare locale e di prossimità. Integrando strutture, risposte, soluzioni.

Valorizzando il protagonismo auto-organizzato dei cittadini.

Trasformando i portatori dei bisogni e delle domande in protagonisti attivi della costruzione

delle risposte.

Per questo chiediamo alle Amministrazioni Pubbliche locali di essere autentici coprotagonisti

della progettazione dei servizi di welfare territoriale.

Certo, è più semplice costruire degli appalti e convocare le cooperative sociali a

partecipare alle gare. Magari gare, più o meno surrettiziamente, impostate al principio del

massimo ribasso economico.

E’ più semplice anche per i cooperatori sociali, che ormai ci hanno fato l’abitudine, studiare

capitolati e inseguire bandi.

Ma, per questa via,non si costruiscono imprese solide, protagonismo sociale e,

soprattutto, non si costruisce un nuovo welfare.

Un welfare che esisterà solo se saprà essere inclusivo, aperto, solidale, imprenditivo,

innovativo.

Per le stesse ragioni ci piacerebbe che quelle associazioni imprenditoriali -Unindustria

Como su tutte -più impegnate nella costruzione e nello sviluppo di una rete di “welfare

aziendale”, ragionassero non solo e non prevalentemente di erogazioni monetarie con cui

“aiutare le persone ad aiutarsi”, ma si cimentassero con noi nella sfida di costruire risposte

mutualistiche ai bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie.

Per queste ragioni, infine, stiamo lavorando su scala nazionale per mettere in campo con

rapidità un progetto concreto e qualificato di Mutua Sanitaria, rivitalizzando la tradizione

antica delle Società di Mutuo Soccorso.

17. E oltre al welfare tanti altri sono i campi di promozione e sviluppo di nuova cooperazione

su cui misurarci.

Non per fare cose vecchie con modi nuovi. Ma per stare sul fronte dell’evoluzione

economica e sociale e rispondere alle emergenze fondamentali del Paese.

A cominciare dalla possibilità -attesa e invocata per decenni -di costituire finalmente

cooperative tra professionisti.

Un campo che si apre, anche per un numero crescente di professioni non regolamentate.

Servono relazioni, collaborazioni con gli ordini, le associazioni sindacali dei professionisti,

le tante associazioni delle professioni non regolamentate.

Proseguendo, mettendo a tema il nodo delle modalità più efficienti ed opportune di

gestione dei servizi di interesse pubblico, dei beni comuni delle nostre città

Dalle farmacie -per citare una recente esperienza o, meglio, un’occasione perduta

comasca - al patrimonio immobiliare, sino ai trasporti alle utilities.

Significa proporre e gettare le basi per la costruzione di una cooperazione di utenza in

mercati sino ad oggi monopolizzati da aziende municipalizzate, spesso inefficienti e quasi

sempre al servizio più della politica che dei cittadini, o aperti a privatizzazioni senza

controllo da parte dei cittadini-utenti.

Perché se è vero che l’impresa for-profit non sempre è la soluzione ottimale per gestire i

beni comuni delle nostre città, è altrettanto vero che pubblico non è necessariamente

sinonimo di statale o di comunale.

L’interesse pubblico non si persegue unicamente con la gestione pubblica diretta dei

servizi.

Molte esperienze sono lì a dimostrarcelo in ogni campo.

L’obiettivo vero dovrebbe essere quello di lavorare a far nascere nuove forme di imprese

civili e mutualistiche, capaci di garantire l’efficienza della gestione -e, quindi, anche con la

presenza di imprenditori capaci -ma partecipate e che si pongano scopi più grandi della

semplice realizzazione di un profitto.

18. Le cooperative, infine, hanno un talento particolare per l’auto-impiego e l’autoimprenditorialità,

che oggi sono la strada maestra per rilanciare l’occupazione.

Dobbiamo anzitutto progredire nella capacità di promuovere e comunicare il valore e le

potenzialità della formula cooperativa.

E mettere in campo servizi e strumenti adeguati, anche di formazione imprenditoriale,

efficaci e compatibili con queste tipologie di nuove imprese.

Ancora una volta sono le emergenze a suggerirci i terreni di intervento. Ad imporceli.

Quella delle fabbriche che chiudono e nelle quali lo strumento cooperativo può diventare la

risposta per chi viene escluso dal mercato del lavoro.

Per ridare una prospettiva dignitosa a chi ha difronte solo una vita di ammortizzatori sociali

e di precarietà, rigenerando lavoro ed occupazione.

Quella -attualissima in questi giorni -della protezione civile, della difesa del suolo, della

cura del territorio.

La cooperazione può fare in questo ambito quello che la cooperazione sociale ha fatto con

il welfare.

Quella, infine, di intercettare i giovani che svolgono nuovi mestieri, manuali o intellettuali,

muovendosi perennemente al confine tra precarietà e free-lance, che nella cooperazione

possono trovare sostegno, dignità personale e professionale, prospettive realistiche.

La cooperazione può essere la risposta più adeguata per iniziative di autoimprenditoria

che spesso si muovono in ambiti innovativi o in “reti social”; per le start-up giovanili più

innovative; per tutti quei soggetti che sono alla ricerca di luoghi e reti in cui incontrarsi e

contaminarsi, di esperienze consortili e di co-working attraverso cui crescere più

rapidamente, con più solidità e successo.

19. So di rubare una citazione a qualcuno.

Alfredo Ambrosetti era solito dire che senza sviluppo il nostro futuro sarà grigio.

Parlava dello sviluppo. Non parlava della crescita.

Ma, continuava ammonendo che non potrà esserci sviluppo senza visione strategica,

senza innovazione, senza coesione.

Vale per i cooperatori e le cooperative così come vale per i territori ed i Paesi.

Le cooperative hanno in sé la possibilità di contribuire a disegnare un futuro che non sia

grigio.

La possibilità di contribuire a dare vita ad un progetto di sviluppo che contribuisca a dare al

nostro territorio e al Paese una rinnovata voglia di protagonismo, di fiducia e di speranza

nel futuro. Non possiamo deludere queste aspettative.

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