Cina, ripresa e incognite
Come cambia il mercato

La “globalizzazione selettiva” tra gli scenari post coronavirus secondo la professoressa e sinologa Francesca Spigarelli

«La pandemia ha radicalmente cambiato non solo le nostre vite, ma sta avendo ed avrà un impatto indelebile nelle relazioni economiche internazionali». Per Francesca Spigarelli, professore di Economia applicata e Pro Rettore all’Università di Macerata, tra i massimi esperti di mercato cinese, c’è un’importante premessa da fare. La Cina, primo Paese ad avvertire lo shock del coronavirus, sarà il solo tra i principali mercati mondiali ad evitare la recessione. Proponiamo l’intervista (quasi) integrale alla professoressa Spigarelli, fatta in occasione dello speciale che il settimanale “Imprese” ha dedicato a questo tema.

Professoressa Spigarelli, quale scenario si va prospettando nelle relazioni economiche con la Cina, nell’immediato e nel futuro prossimo?

La pandemia ha radicalmente cambiato non solo le nostre vite, ma sta avendo ed avrà un impatto indelebile nelle relazioni economiche internazionali. Vorrei porre l’attenzione su due dei principali impatti che, a mio avviso, nel prossimo futuro dobbiamo attenderci e che riguardano il ruolo della Cina. Da un lato credo che ci si attenda una nuova era con una globalizzazione “selettiva” e mirata, in cui le catene del valore internazionale saranno riconfigurate, in parte a favore di una maggiore regionalizzazione e dell’altro fondate su relazioni meno volatili, laddove i vantaggi competitivi generati dalla cooperazione internazionale sono più solidi e radicati. Dall’altro lato, mi aspetto un’accentuazione dei divari tra Paesi tecnologicamente più evoluti, e quelli più arretrati, con implicazioni sulla competitività delle industrie e dei settori economici che maggiormente possono beneficiare della tecnologia allo stadio più evoluto. L’ampio utilizzo di intelligenza artificiale e big data nella gestione dell’emergenza Covid ha mostrato in modo dirompente la supremazia cinese in molti ambiti tecnologici.

Entrata e uscita per prima dall’emergenza, la Cina si trova in vantaggio rispetto ai competitor (Usa): punto di forza o fragilità?

La Cina sta riprendendo lentamente e con cautela le proprie attività commerciali e sta tornando molto molto lentamente all’operatività piena delle industrie. I cittadini sono ancora sottoposti a forti limitazioni nelle attività quotidiane e nella mobilità, a causa dei numerosi casi di contagio “da ritorno”. A gennaio e febbraio le vendite al dettaglio hanno subito una contrazione del 20,5%, la produzione industriale è calata del 13,5%, e gli investimenti fissi crollati dal 25%, secondo i dati del National Bureau of Statistics. Nonostante questi numeri incredibilmente negativi, l’economia cinese sta mostrando la propria resilienza: i fondamentali restano comunque positivi, seppur fortemente provati dall’emergenza. Questo grazie alle politiche pubbliche di intervento, sia di politica industriale, sia monetaria. L’emergenza Covid ha mostrato la rilevanza, nella gestione ed amministrazione della vastità e diversità del territorio cinese, della tecnologia. Per questo la Cina si è subito attivata per sviluppare ulteriormente l’integrazione dei servizi online e offline, con un’attenzione particolare all’assistenza agli anziani, ai servizi per l’infanzia e per l’educazione, ai servizi di igiene e sanità pubblica. Il vantaggio, a mio avviso, è sulla forza e sulla capacità di implementazione di politiche industriali a 360° e di ampio respiro: aspetti questi che hanno già negli ultimi decenni consentito la crescita e lo sviluppo della Cina. Non va dimenticato che, molto prima dell’emergenza, il presidente Xi Jinping ha delineato il percorso verso il “new chinese dream”, volto a far divenire la Cina, entro il 2049, una potenza economica pienamente sviluppata e leader mondiale della tecnologia. L’emergenza Covid non ha, a mio avviso, incrinato questo sogno, pur avendo indebolito fortemente il ritmo di crescita economico.

La Cina è cauta nel dopo-coronavirus domestico. Il virus in che modo ha contagiato il sistema immunitario del capitalismo cinese?

Il capitalismo con caratteristiche cinesi continuerà il suo sviluppo, anche grazie a un rinnovato spirito patriottico e alla forza delle misure di supporto, sia nella domanda sia nell’offerta. Si consideri che il governo cinese ha prontamente avviato misure di stimolo dei consumi. In una nota congiunta del Ministero del Commercio, della Commissione Nazionale per lo sviluppo e le riforme della Commissione nazionale per la salute, viene sottolineata l’importanza di espandere i consumi tradizionali, tra cui ad esempio il settore automobilistico, ma anche a quello alimentare, in particolare di frutta e verdura. Per l’industria alimentare sono previste misure per l’integrazione delle piattaforme online-offline e l’utilizzo dell’e-commerce, a partire dai supermercati. Misure che ci fanno capire come ancora più che nei mesi pre-Covid, la Cina vede un motore di crescita macro-economica nei consumi interni.

Sul piano strategico, per le aziende italiane e comasche, in particolare, quali azioni sono auspicabili ora che si riapre la Cina? La Nuova Via della Seta può rivelarsi un volano per l’economia del nostro Paese?

Il progetto “Belt&Road” aveva e mantiene la sua validità strategica volta a favorire le relazioni commerciali, l’alleanza culturale e la collaborazione con la Cina. In questo momento si dovrebbe già avviare la progettazione di un percorso di rilancio e sviluppo delle relazioni con la Cina, a partire dal post emergenza, ma facendo leva sull’antica vicinanza con la Cina.

Wuhan e la regione di Hubei sono uno snodo manifatturiero. La ripresa qui sembra più cauta ancora: pensa che penalizzerà i comparti legno/arredo e tessile?

Il comparto del legno e quello del tessile hanno una catena del valore molto frammentata tra Italia, Cina ed altri Paesi del sud est asiatico. La catena è fatta di subforniture e rilavorazioni e sarà sicuramente soggetta a forti ripercussioni. Basti pensare alle difficoltà nella gestione dei flussi logistici per materie prime, forti ripercussioni. Basti pensare alle difficoltà nella gestione dei flussi logistici per materie prime, semilavorati, componenti, oltre che al blocco della produzione prima in Cina ed ora in Italia. Il problema maggiore sarà per le nostre imprese, soprattutto se in questi giorni non verranno messe in atto misure per sostenere la liquidità e per favorire il ritorno progressivo e in sicurezza dei lavoratori alla produzione.

L’emergenza coronavirus ha reso più forte l’alleanza con la Cina o la diffidenza?

Per rispondere voglio citare una recente indagine della China Italy Chamber of Commerce (CICC), istituzione a cui aderiscono moltissime imprese italiane operanti da anni in Cina. Su 180 imprese rispondenti, il 28% delle aziende italiane prevede nel 2020 una contrazione di più del 30% del fatturato, il 49% un calo di oltre il 20%. La contrazione della domanda e le difficoltà nel gestire le interruzioni nella supply chain, oltre che i limiti alle possibilità di mobilità nazionale ed internazionale sono i motivi principali di questo crollo atteso. Tuttavia l’alleanza con la Cina non può che continuare. Secondo gli analisti internazionali, la Cina sarà il solo tra i principali mercati mondiali a non essere in recessione completa quest’anno.

L’Italia uscirà probabilmente per prima dall’emergenza Covid-19 in Europa. Pensa che sarà avvantaggiata nel business con la Cina?

Non credo affatto che il vantaggio temporale si tradurrà in un vantaggio nel business. Questo soprattutto perché le misure poste in essere a salvaguardia del tessuto imprenditoriale e del sistema competitivo nazionale da parte della Germania, in particolare in Europa, sono decisamente superiori. Purtroppo, se non sostenuta da una forte iniezione di liquidità e da stimoli massicci per l’economia (dal lato sia della domanda, sia dell’offerta), l’Italia è destinata ad arretrare ancor di più nel contesto internazionale. Da un recentissimo studio di Confindustria emerge come nel 2020 il calo stimato del Pil Italiano sia del -0,6%, sotto l’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio. Peraltro, secondo le analisi svolte, ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive potrebbe portare ad una percentuale ulteriore del calo di Pil di circa lo 0,75%.

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