Hotel e ristoranti di Como
Cambiare offerta e menù
per i clienti cinesi

Oltre l’allarme coronavirus: il turismo si attrezza per conquistare i flussi (in crescita) degli arrivi dalla Cina

Il turismo cinese è enormemente cresciuto negli ultimi anni e continuerà a svilupparsi, anche sul Lario. Secondo gli esperti intervenuti all’iniziativa dell’associazione comasca Caracol, al “Terzo Spazio” di via Santo Garovaglio, l’emergenza Coronavirus porterà ad un calo di visitatori nella prima metà del 2020 che sarà ampiamente compensato da una successiva ripresa, come già avvenuto all’epoca della Sars.

Ecco perché è importante che gli operatori turistici lariani siano pronti per cogliere questa opportunità.

L’iniziativa “Huanying”, che in cinese significa “benvenuto”, è iniziata ieri mattina con un seminario dedicato all’uso della lingua cinese per il turismo. Un turista che sente parlare la propria lingua resterà piacevolmente sorpreso.

Nel pomeriggio invece è stato preso in esame il flusso turistico dalla Cina verso l’Italia. Il nostro paese infatti, come illustrato da Erica Giopp, esperta di turismo asiatico, è la prima destinazione europea per quanto riguarda gli arrivi dalla Cina: “Un fenomeno destinato ad ampliarsi perché solo il 10% dei cinesi attualmente ha un passaporto”.

Nel 2018, ha detto Alessandra Lavagnino, dell’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano, sono arrivati in Italia 3,2 milioni di turisti cinesi: dieci anni prima, nel 2008, erano stati 718mila. E per il 2019 l’incremento stimato è del 16% rispetto all’anno prima. La spesa media procapite per un turista proveniente dalla Cina è di circa 1.100 euro, ma va sottolineato che nel 2018 sono stati acquistati da cinesi beni di lusso in Italia per 650 milioni.

“Si sta sempre più spostando l’attenzione del turista cinese medio – ha detto ancora Giopp - dalle grandi mete turistiche tradizionali verso località di nicchia: ecco perché ritengo che ci siano grandi possibilità per il lago di Como”.

La trasformazione in atto nella Cina stessa, secondo Lavagnino, porterà ad un incremento di presenze in Italia. “Nelle città – ha spiegato – si diffondono le conoscenze ed aumentano le possibilità: oggi 810 milioni di cinesi abitano in zone urbane, erano 170 milioni alla fine degli anni Settanta. Secondo le previsioni – ha continuato – nel 2025 esisteranno in Cina 221 città con più di un milione di abitanti e nel 2030 più di un miliardo di cinesi vivranno in aree urbane”.

Tutto questo significa un numero sempre maggiori di intellettuali, professionisti, piccoli industriali: la classe media che, ha concluso Lavagnino, “è affascinata dall’Italia perché sinonimo di creatività, bellezza artistica, cultura, moda ed anche cucina”.

Si apre quindi uno spazio enorme non solo per l’accoglienza dei turisti, ma anche per l’esportazione dei nostri prodotti direzione Pechino, a partire dal vino. “La crescita di consumi di vino in Cina – ha detto Marta Valentini, dell’Istituto Confucio – è stata costante dal 1995 ad oggi: negli ultimi anni Pechino si è collocata al quinto posto nel mondo per consumo vinicolo dopo Stati Uniti, Francia, Italia e Germania”.

L’Italia è seconda, dopo la Francia, per importazioni verso la Cina. “I francesi – ha affermato Valentini – sono agevolati dalla presenza di loro marchi della grande distribuzione, mentre l’Italia è penalizzata dalla presenza di troppe denominazioni, spesso impronunciabili per cinesi e comunque difficili da distinguere”.

Per i cinesi, il cibo è un fattore di identità culturale, esattamente come per gli italiani. Lo ha spiegato, nell’ambito dell’iniziativa promossa dall’associazione Caracol, Marta Valentini, esperta di food&beverage e direttore esecutivo dell’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano.

“I gusti stanno cambiando e si stanno evolvendo – ha detto -: i cinesi hanno iniziato a bere molto più latte e a mangiare formaggi, sia pure preferendo quelli con un sapore neutro. Inoltre – ha continuato – dopo la moda del vino, ora è il momento del caffè”.

Rispetto al passato, quindi, c’è stato un deciso avvicinamento dei cinesi al gusto occidentale ma i nostri ristoratori, se vogliono accogliere la clientela cinese, devono prestare attenzione ad alcuni accorgimenti descritti da Valentini.

“In primo luogo – ha spiegato – suggerisco di proporre menù degustazione e non antipasto, primo e secondo: questo serve per facilitare la scelta, ma anche per evitare che, ad un certo momento del pasto, i commensali inizino a scambiarsi tutti i piatti; i cinesi infatti sono abituati a mangiare più piatti in un pasto e generalmente a mangiare tutto insieme, non con un ordine cronologico come facciamo noi”.

Altri consigli utili per i nostri ristoranti sono: cuocere bene pasta e riso (“per i cinesi – ha affermato Valentini – il nostro concetto di al dente equivale a crudo”), proporre latticini ma con moderazione sia per la quantità che per il gusto, proporre cibi di qualità e possibilmente con certificazioni biologiche (“i giovani stanno dando sempre maggiore importanza al concetto di sicurezza alimentare”) e presentare menù con la traduzione in cinese e con l’indicazione degli ingredienti. I cinesi, infine, non danno grande importanza al dolce.

“La classe media emergente – ha concluso Valentini – è sempre più attratta dal cibo occidentale, specialmente di qualità: anche i ristoranti potranno beneficiare dell’aumento del flusso turistico, purché i ristoratori sappiano fare qualche passo in avanti per andare incontro alle esigenze di una popolazione curiosa ma anche estremamente tradizionale”.

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