Vanessa alleva asini
La felicità a 25 anni?
«All’alba già nella stalla»

Cresce a Como il numero degli under 30 impegnati nelle 730 imprese agricole di montagna. Vanessa Peduzzi: «I miei coetanei fanno l’aperitivo? Io vado in fienile»

Dai 100 ai 110 litri di latte, rigorosamente intero, per far nascere uno dei formaggi che Ivan Albini produce all’Alpe Nesdale nel cuore della stagione dell’alpeggio. Poi vanno portati a valle, oggi sul fuoristrada, in passato a dorso di mulo. È l’unico cambiamento perché il modo di lavorare degli allevatori di alpeggio è rimasto quello di sempre.

Tre mesi in solitaria, in montagna, da fine maggio ad agosto. Le mandrie, le greggi, la natura e il lavoro. Tutto come nei secoli alle spalle. «La tecnologia - spiega Albini - di fatto mantiene un ruolo marginale, perché a dominare tutto sono la natura e un sapere tramandato da generazioni: tecniche di lavorazione del latte da trasformare in formaggio, ma anche i segreti sul come accudire gli animali, come intervenire in un’emergenza, tutto da soli, al massimo con l’aiuto dei nostri cani da pastore. È una vita che non cambierei per nulla al mondo».

I tempi

Con il tempo, le norme sono intervenute a regolare le metodologie produttive nei caseifici di quota e a stabilire i tempi di salita e discesa dall’alpe, «anche se è soprattutto la natura a decidere: e tutto, di fatto, dipende dal tempo, dalla disponibilità di erba, dal clima». Quando è ora di tornare, si intraprende quel cammino che generazioni lontane hanno sempre percorso, a tappe, fino a tornare alle stalle in paese o proseguire in pianura, come facevano anche i bergamini valsassinesi che hanno portato nel cuore della pianura lombarda la tecnica e la tradizione del Gorgonzola.

Qui nell’Alto Lario Occidentale (siamo sopra Plesio) è invece di Semuda, «che si faceva soprattutto in inverno e in molti continuano così». Quello della «trasmissione della tradizione rurale» è un compito che Ivan Albini sente come un dovere. E accanto alle mandrie delle «tre razze montane per eccellenza», ovvero le vacche brune, di pezzata rossa o grigia, Albini è uno degli ultimi allevatori rimasti a continuare l’allevamento della Capra di Livo, un’autentica rarità che oggi non supera i 2.500 capi e si rintraccia solo nel Lario occidentale, quasi tutte lungo la catena Mesolcina tra il Passo San Jorio ed il Passo dello Spluga.

Nuove generazioni di giovanissimi che scelgono la montagna, come altri due under 30: Diego Bossio, che trascorre l’intero periodo estivo al lavoro nei pascoli di Peglio, o Vanessa Peduzzi, oggi venticinquenne, che due anni fa ha deciso di dedicarsi all’allevamento di asini che porta in alpeggio sopra Schignano insieme alle 10 vacche della sua mandria. Una scelta di vita, ancor più coraggiosa quando si è giovanissimi: «In effetti, quando i miei coetanei si preparano per uscire al sabato sera per un cocktail, io mi preparo per andare nel fienile… e quando tornano dalla “nottata” in discoteca e vanno a riposare, io sono già in piedi per governare la stalla. Ma io sono contenta così».

I numeri

Nel Comasco operano in altura circa 730 imprese agricole censite, in gran parte concentrate nella dell’Alto Lago occidentale. Nel Lecchese sono circa 370. E sì, sono tanti i giovani che continuano a scegliere il fascino di fare agricoltura e allevamento in montagna. «Numeri e storie di vita che devono impegnare le istituzioni e ognuno, nei rispettivi ruoli, per garantire futuro e sopravvivenza a queste imprese, che si trovano a fronteggiare non pochi problemi “operativi” come quello delle invasioni della fauna selvatica che hanno colpito anche i pascoli in quota - commenta Fortunato Trezzi, presidente di Coldiretti Como Lecco - i lupi, com’è noto, sono tornati a prendere di mira le greggi mentre i cinghiali hanno fatto incursione persino nei pascoli d’alta quota, danneggiandoli pesantemente».

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