La giustizia a due (o tre) velocità che contraddistigue l'America contemporanea ha dato prova di se in occasione dello sciagurato episodio che ha coinvolto e travolto Domunique Strauss-Kahn fino a trascinarlo nella polvere per ciò che riguarda il suo finale di carriera e ridurlo in un appartamento frettolosamente affittato, con cauzione milionaria, braccialetto elettronico e guardiani a sorvegliarlo in attesa dei foschi sviluppi del suo procedimento davanti ai giudici. Sia chiaro: nel caso DSK risulti colpevole, pagherà chiaro, almeno in sede di pronunciamento della sua condanna. Carissimo anzi, sotto le insegne del verdetto esemplare, che rimette a suo posto, castiga e umilia il potente che ha fatto deflagrare la sua arroganza nei confronti della malcapitata lavoratrice che doveva solo rifargli il letto e che assume un atteggiamento di particolare intransigenza allorché alla sbarra c'è non solo un leader internazionale, ma un francese, rappresentante di un popolo col quale l'America ha sempre avuto problemi di comunicazione, per ciò che attiene a questioni etiche e stile di vita. Un libertino, insomma, che ha avuto l'ardire di fare il prepotente nella Grande Mela, simbolo dell'egalité americana: ecco da dove spuntano quei 70 anni di possibile galera sventolati come uno spauracchio sotto il il naso di DSK, il Grande Seduttore, il politico orgoglioso d'essere conosciuto come il "coniglio in calore", assertore dell'idea del leader come abile corteggiatore delle folle. Dunque una storia di potere, prepotenza e dispetto. Il potere è quello che alla fine piloterà DSK fuori dai guai legali, per quanto rovinato come figura pubblica. Il potere che gli ha permesso di arruolare un collegio di avvocati abilissimo - lo stesso che seppe sfilare Michael Jackson da accuse di pedofilia pesantissime - e che avrà la capacità di far progressivamente impantanare il processo in una serie di cavilli, di rinvii e contraddittori che prima o poi permetterebbero il rientro di DSK in Francia e quindi la definitiva contumacia dell'eventuale condannato, dal momento che i transalpini non prevedono estradizione per crimini sessuali. La prepotenza è quella connessa a comportamenti-limite come il DSK di quella giornata al Sofitel di NYC e poi la guascona difesa che li ha contraddistinti, e che ha scandalizzato l'America di questi giorni. "Sesso, bugie a arroganza: cos'è che fa comportare così male gli uomini potenti?" si chiede nel servizio di copertina il grande magazine "Time", provando a esplorare quei misteriosi sentimenti d'impunità e incontrollabile instinto predatorio ostentati da un uomo che dovrebbe invece denotare un ben diverso spirito di responsabilità. Il dispetto è quello con cui l'America ha reagito a questa storia: qualsiasi sondaggio dimostrerebbe il desiderio della gente della strada di vedere DSK dietro le sbarre senza nemmeno un processo sommario. Non aveva infastidito già la sera prima la centralinista dell'hotel? Non bastano come prova i graffi sul suo corpo prodotti dalla cameriera nel tentativo di difendersi dall'assalto di un uomo di cui non conosceva l'identità? Dopo anni di patimenti, in buona parte dovuti allo strapotere di pochi su tanti, all'avidità e al cinismo connessi con la fortuna di sedere su un posto di comando, adesso gli americani coltivano un acre gusto per la vendetta, sconosciuto al loro passato di grandeur. Figuriamoci se a provocarlo è un vanitoso francese, convinto di poter esercitare la sua impunità anche per le strade di New York.