Abbiamo poche certezze, con l'aria che tira. Le arie che tirano. E ci sentiamo fragili, non protetti, esposti al vento delle offese. Vecchi oltraggi, nuove ingiurie. Viviamo una condizione d'inferiorità per via d'una serie d'eventi superiori (tristemente e altezzosamente superiori) che c'impongono di guardare il mondo ginocchioni, e adesso ci tocca viverla in maniera ancora peggiore. Perché lui (Lui) non ha profilo né espressione, non ha un volto e un tratto (d'umanità, di disumanità?). Non è neppure la malattia che, per quanto grave, la conosci e provi almeno a combatterla con le armi inventate dagli scienziati e che ti sono passate (quando te le passa) dalla mutua. Macché.
Il batterio detto killer è anch'egli una malattia, però una di quelle malattie globali che ti fanno maledire quest'epoca d'allargamento di confini e di progressi. D'inquietudini e di guai. Quest'epoca che snatura i localismi e disperde le identità. Ecco, lui (Lui) ti terrorizza come tutti quelli che non mostrano la loro identità, e ti pare di traversare il sogno che si fa incubo nelle notti che seguono gli eccessi di carbonara o di cassoeula. Dici: ma no, che cosa sto pensando, ancora una volta è la fata della stupidità a stordirmi con le sue malìe. Eppure (e invece) è proprio così: l'hai (l'abbiamo) già perduta, questa battaglia con il batterio. Ci ha acceso un focolaio di sospetto, e non c'è acqua riversatagli sopra che ottenga di spegnerlo. Il sospetto è l'inquinatore della fiducia verso gli altri e verso se stessi, è un'insidia per le regole comuni e accettate, è una mina collocata sotto la credibilità, la confidenza, l'amicizia. E insomma, questa storia di ortaggi o di latticini o di affettati o d'altro d'indefinibile e misterioso, è una storia ben diversa da una semplice intossicazione alimentare. E' una storia d'intossicazione della nostra ingenuità di poveri cristi. E ci tocca confessarla senza pudori, con una visibile umiliazione. Ah, quest'invisibile protervia.
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