Il tessile riparte
ma a porte chiuse

Trecento posti di lavoro a rischio alla Sisme di Olgiate Comasco. Un migliaio quelli in bilico in questo momento nell'intero settore metalmeccanico. Più di duecento quelli persi nel tessile da inizio anno che potrebbero raddoppiare quando si esauriranno gli ammortizzatori sociali cui stanno facendo ancora massicciamente ricorso molte imprese. Dietro i freddi numeri, altrettante famiglie costrette a convivere con il rischio di vedere la propria vita cambiare radicalmente da un giorno all'altro. Chi ha vissuto il dramma di trovarsi senza lavoro può capire la frustrazione e il senso di inutilità che si prova. Campanelli d'allarme della difficoltà di un sistema che non riesce ad individuare gli anticorpi per superare con forza la crisi.
In un quadro ancora tanto critico, il paradosso di aziende tessili che chiedono ai propri dipendenti di lavorare fino a 12 ore al giorno per far fronte ai picchi di produzioni come denunciano i sindacati. Non casi isolati, a quanto sembra. Segno evidente che il tessile comasco ha ancora i numeri e la credibilità per competere sui mercati, ma che rischia di chiudersi in se stesso. Incapace di dare messaggi di fiducia nel futuro come invece ha sempre fatto in passato.
Dunque, da una parte lavoro insufficiente per garantire uno stipendio a tutti i dipendenti attuali; dall'altra lavoro in surplus ma che non crea nuova occupazione. Solo un aumento - e questo naturalmente non è un male ma poco lungimirante - della busta paga di chi uno stipendio ce l'ha, e porte chiuse in faccia a quell'esercito, soprattutto di giovani, che preme per entrare nel mondo del lavoro. Invano.
Risultato: dal 2008 ad oggi in provincia di Como si sono persi quasi cinquemila posti di lavoro, solo in minima parte recuperati. Salvo rare eccezioni, infatti, le aziende stanno dimostrando di non credere nella durata dei segnali di ripresa di questi mesi. Da qui la paura a fare nuove assunzioni anche a fronte di un fatturato che cresce. E quei pochi contratti che vengono fatti sono a tempo determinato.
Sembra quasi che il tessuto imprenditoriale comasco tradizionalmente sano e dinamico, fiaccato da quattro anni di crisi durissima che ha impoverito le casse e introdotto elementi di incertezza continui, sia oggi frenato nelle scelte. O anche nelle idee. Anche lo stimolo del pubblico è inesistente. Nessun grande progetto di rilancio; nessuna grande opera che dia lavoro ad un settore come quello edile alla frutta; nessuna nuova strada che permetta di sognare di entrare in Europa più velocemente. Niente di niente. Un muro, di gomma e di pianto.
Como non è un'eccezione, semplicemente riflette quello che sta succedendo in tutta Italia. Siamo alle conseguenze concrete e sulla pelle di chi il lavoro ce l'ha e chi invece lo perde o semplicemente non riesce a trovarlo, degli ultimatum a fare delle scelte per evitare il baratro che gli imprenditori hanno ripetuto nelle ultime settimane al governo.
Elvira Conca

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