Le ragioni e gli errori
degli Indignati

 In Italia gli "indignados", in America "Occupy Wall Street". E' sempre difficile comprendere in che misura movimenti che appaiono avere la stessa aspirazione si assomiglino. E tuttavia una buona ragione per indignarsi, negli Usa come in Europa, c'è: è facile sentirsi "indignati" se pensiamo che Lehman Brothers è fallita il 15 settembre del 2008, e in tutto questo tempo i governi e i regolatori non sembrano avere trovato risposte convincenti contro una crisi dilagante.
Negli Usa, gli "occupanti" non sopportano che l'economia del loro Paese sia stagnante, nonostante lo Stato abbia messo a disposizione ingenti risorse pubbliche: prima, per salvare le banche, poi, come "stimolo" keynesiano. I "salvataggi" sono stati concordati dal management delle banche con la classe politica. Gli Stati Uniti sono un Paese fondato sul bilanciamento, sullo sminuzzamento dei poteri. Agli americani riesce intollerabile che questa tragedia abbia visto pochi protagonisti, sempre gli stessi. Non comprendono perché nel mondo della finanza debbano essere in vigore regole diverse di quelle degli altri mercati. Nello specifico, perché alcuni grandi istituzioni debbano essere "troppo grandi per fallire": cioè debbano essere aiutate coi soldi dei contribuenti, per evitare la bancarotta.
In un Paese in cui la disoccupazione da mesi veleggia attorno al 9%, è comprensibile e giusto che socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti suscitino risentimento sociale. Ma è bene ricordarsi che alla Casa Bianca c'è un signore che aveva promesso grandi cambiamenti, e che ha saputo solo aumentare la spesa pubblica. Era inevitabile che anche nel suo blocco elettorale si manifestasse un certo scontento.
E in Italia? In Italia gli "indignados" hanno manifestato sì davanti alla Banca d'Italia, ma non per denunciare i conflitti d'interessi fra Stato e banche, quanto per chiedere il ripudio del debito, maggiore spesa pubblica, e più garanzie nel mondo del lavoro: che significa, il posto fisso. L'ispirazione è molto diversa da quella americana, e stupisce che il movimento abbia trovato tanto seguito fra i giovani - i più colpiti dalla crisi attuale, se è vero che la disoccupazione giovanile è al 27%.
Il ripudio del debito è un'idea sostanzialmente infantile: se lo Stato non rimborsa i soldi presi a prestito, come potrà apparire affidabile - non solo ai tanto vituperati "mercati" ma anzitutto ai suoi cittadini? Non è certo di lì che passa il ritorno alla crescita. La richiesta di più spesa pubblica è lunare: chiunque legga i giornali sa che il piatto piange. Dal momento che anche lo Stato vive di risorse scarse, dove andrebbero reperite le risorse aggiuntive? Aumentando ulteriormente la tassazione? Ciò non potrebbe che provocare un'ulteriore depressione dell'economia già in crisi. Con conseguenze devastanti proprio sull'occupazione.
I nostri problemi occupazionali sono sicuramente legati alla contingenza, ma anche a un mercato del lavoro ancora troppo "ingessato". Per colpa dell'elevato costo dei contributi e dell'articolo 18, che rendendo impossibile licenziare rende più difficile assumere. I giovani scesi in piazza hanno urlato slogan a difesa precisamente di quei meccanismi istituzionali (l'articolo 18, il nostro sistema previdenziale) che più li penalizzano. Forse è questa la vera differenza fra il movimento americano e quello italiano. Il primo magari ha obiettivi contraddittori, il secondo ne ha di limpidamente masochistici.
Alberto Mingardi

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