Ammettere non basta Trovi una via d'uscita

Dire «non so quando finiremo» è una resa. E quello che ammette oggi il sindaco Bruni, purtroppo, non fa che confermare un allarme lanciato ripetutamente su queste colonne da almeno un anno. Il punto di svolta, ormai consegnato alle pagine più buie della città, è il 16 settembre 2009, giorno in cui il pensionato Innocente Proverbio, passando sul lungolago, scoprì il famigerato muro e lo denunciò proprio a "La Provincia". In questi anni il giornale ha posto ripetutamente l'attenzione prima sul muro, poi sulla stabilità degli edifici affacciati sul lungolago e, in parallelo, sull'allarmante dilatazione dei tempi di cantiere. E ha sottolineato fino alla noia le cose che non funzionavano.
Non per il gusto di essere irritante a tutti i costi, ma per amore della città e delle cose fatte bene. Un sentimento, questo, che "La Provincia" condivide con tanti comaschi. Non tutti, purtroppo. Per questo ci siamo sentiti dare dei disfattisti, dei terroristi, di quelli che sparano sempre contro. E adesso che si fa? E, soprattutto, quando finirà questo disgraziatissimo cantiere? Il sindaco, l'altra sera in consiglio comunale, ha replicato così: «Avessimo una sfera di cristallo saremmo ben disposti a darvi una risposta puntuale, ma è assolutamente imprudente. È stato detto che se tutto va bene ci vogliono due anni. Mettiamo pure in conto che ci possono essere delle difficoltà aggiuntive. Non siamo oggi in grado di dare una data certa. Sarebbe da irresponsabili».
Sì, avete capito bene. Il sindaco ha ammesso candidamente che siamo in alto mare, che non si sa quando finiremo e - tra le righe - che il lungolago rischia di diventare una nuova Ticosa. Cioè l'ennesimo disastro della sua amministrazione.
Queste sono parole che non possono lasciare indifferenti noi, i comaschi tutti e lo stesso primo cittadino, che non può cavarsela con la semplice ammissione di un fallimento, nemmeno fosse un consigliere comunale qualunque.
Chi occupa la poltrona di sindaco ha come primo compito quello di risolvere e non semplicemente denunciare i problemi. Problemi, tra l'altro, che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Facciamo un passo indietro, giusto perché i numeri non si possono liquidare alla stregua di opinioni. Il cantiere delle paratie è partito l'8 gennaio 2008 e avrebbe dovuto concludersi in tre anni. Nel gennaio scorso, invece che al taglio del nastro, abbiamo assistito a un nuovo stop ai lavori - in attesa della variante progettuale - che si prolunga ancora oggi. Un altro anno perso.
Se tutto va bene ci vorranno (sono parole del sindaco) ancora due anni. Perché, aggiunge il primo cittadino, «mettiamo pure in conto che ci possono essere difficoltà aggiuntive». Ma dai. Prendiamo la matita del macellaio e facciamo un bel tre più uno più due. Totale sei anni, se tutto va bene. E per cosa? Per aver ridotto un'opera avveniristica (le famose paratie mobili) a un surrogato dei sacchetti di sabbia (i panconi).
Valeva la pena mettere in ginocchio la città oscurando la sua parte più bella per tutti questi anni per migliorare - questo sì - una passeggiata che poteva comunque essere riqualificata (certo, non ampliata) in molto meno tempo e a costi nettamente inferiori?
Queste domande rimarranno forse senza risposta, ma da Bruni, dopo che ha ammesso davanti all'assemblea cittadina l'ennesima situazione mortificante per Como, ci aspettiamo un'altra cosa. Che offra al più presto una soluzione seria e concreta per uscire dall'incubo del lungolago. Se non è in grado di farlo (e lui è l'unico che può saperlo) ne sappia almeno trarre le dovute conseguenze. Per amore della città.

Emilio Frigerio

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