Il diritto al dissenso e i doveri della legge

Con buona pace del vice presidente del Csm, Vietti, che saggiamente ma inutilmente aveva ammonito sui pericoli di una legislazione decisa "sull'onda emotiva legata a fatti di cronaca", ieri il ministro Maroni ha riferito al Senato sugli scontri di Roma, dicendosi fra l'altro d'accordo con Di Pietro sulla necessità di una sorta di riedizione della legge Reale, ovvero su un inasprimento delle norme che dovrebbero garantire che legittime forme di protesta non si trasformino in episodi di guerriglia urbana.
È il logico, prevedibile finale di un copione già visto mille volte e ripropostoci nei giorni scorsi, con i malvagi  black block che rovinano la pacifica festa organizzata dai candidi indignati, gli oscuri registi della tensione che "cercano il morto", l'immancabile infiltrato della polizia (risultato poi un innocuo cronista del Tempo) con funzione di provocatore, gli estintori scaraventati contro le camionette dei carabinieri da ragazzi rigorosamente "di buona famiglia" in un momento di scusabile irritazione, i campi d'addestramento dove si studia tattica e strategia della battaglia fra le strade, le barbe finte, i servizi deviati e via così.
Improvvisamente, tutti i problemi - e non sono pochi - di questo Paese scivolano sullo sfondo davanti a quello dell'ordine pubblico che viene provvidenzialmente ad occupare il centro della scena, manco a dirlo con i soliti rituali, dalla temporanea proibizione dei cortei nella capitale, all'indignazione dei buoni democratici che vedono in pericolo le libertà costituzionali. Ci sono dunque, anche questa volta, tutte le premesse perché non si impari nulla. Nella diffusa certezza che la democrazia sia un regime molle, nel quale la gente deve poter fare ciò che gli pare, nessuno si chiede se quanto è accaduto (e accade ormai periodicamente, a distanza di tempo più o meno regolare) non sia per caso la conseguenza inevitabile di una pericolosa attitudine a "sorvolare" instauratasi da tempo. Il passamontagna sul volto o il casco integrale in testa, ad esempio, sono ormai un comportamento scontato, che nessuno si sente in dovere o in grado di reprimere. Perché? Forse sarebbe ora di domandarselo, cercando una risposta che le stesse forze dell'ordine - solo che la si chiedesse - sarebbero facilmente in grado di fornire.
Invece, si continua ad arrovellarsi sui buoni o cattivi motivi che spingono gli autori delle devastazioni, come se da quelli dipendesse il giudizio da esprimere. Se dunque la protesta nasce da ragioni plausibili, ecco che diventa comprensibile come qualcuno si faccia prendere la mano e, en passant, distrugga un po' la città o spedisce all'ospedale qualche decina di poliziotti. Ma questa è semplicemente una follia, che non ha nulla a che vedere con la possibilità, che in una democrazia deve essere garantita a tutti, di dimostrare il proprio dissenso, ma restando rigorosamente all'interno dei confini tracciati dalla legge. Che quando vengono varcati, devono trovare la reazione di forze dell'ordine messe in grado (dal ministero degli Interni in primis) di reprimere efficacemente i disordini. E non basta riempire sufficientemente di benzina i serbatoi delle camionette. Forse bisogna anche garantire a chi rischia di vedersi scaraventare addosso un estintore che il suo compito - anche secondo le leggi già in vigore - non è solo quello di prenderlo in faccia.

Antonio Marino

© RIPRODUZIONE RISERVATA