Bossi e l'invettiva
segno di debolezza

Lo diceva già Fabrizio De Andrè in Bocca di rosa. Finché le contromisure si limitano all'invettiva si può stare tranquilli. Anche nella Lega di oggi, nonostante il livello dello scontro interno sia ormai a livello di Armageddon. Ma quello str... rivolto dal capo, Umberto Bossi, al sindaco di Verona, Flavio Tosi, si presta a una serie di letture.
La prima, ovviamente è riferibile alla dialettica interna al Carroccio tra maroniani e cerchio magico che ormai ha preso il ritmo del rock duro e non del blues tanto amato dal ministro dell'Interno che ha nostalgia di Reale. Ma sarebbe troppo facile chiuderla qui, con l'ennesimo dissidio anche se dai colori più vivaci sull'alleanza con il Cavaliere. Lo str... sibilato da Bossi verso il sindaco emulo dell'ex vice presidente Usa Dick Cheney, almeno per quanto riguarda l'arte venatoria, non è neppure l'ennesima puntata dell'atavica contrapposizione tra l'anima lombarda e quella veneta della Lega. C'è di più. Dietro la divaricazione tra le strategie politiche, accanto alla frustrazione mai sopita dei leghisti collocati al di là del Garda, emerge anche uno scontro generazionale. La nuova Lega, peraltro voluta da Bossi dopo una massiccia dose di epurazioni, si rivolta contro la vecchia più che mai raffigurata dal capo malfermo.
Oltre al dissenso sulla linea politica, Tosi, il sindaco di Varese, Attilio Fontana, e gli altri esponenti leghisti avversari dal cerchio magico che protegge il Senatur si oppongono alla successione "salica", impersonata dal Trota, Renzo, figlio del leader che non a caso ha riposto in maniera perentoria al primo cittadino di Verona.
L'ultimo aspetto, ma non marginale, dello scontro riguarda proprio l'Umberto. In altri tempi, Tosi sarebbe stato cacciato a calci dal movimento in quattro e quattro otto. Non si è mai fatto problemi Bossi. Ne sanno qualcosa tanti epurati eccellenti, lombardi, veneti e piemontesi che avevano tentato di mettersi di traverso oppure, più semplicemente, erano andati giù dal birlo al Senatur. Domenico Comino fu buttato fuori durante un congresso federale per aver osato ipotizzare ciò che il leader avrebbe fatto pochi mesi dopo: il ritorno di fiamma con il Cavaliere. Lo stesso Maroni era stato accompagnato fino alla soglia del movimento, salvo poi, unico caso, essere riabilitato.
Altri sono stati fatti fuori con motivazioni che nulla avevano da invidiare a quelle utilizzate in Unione Sovietica da Stalin e Suslov.
Il fatto che a Tosi, almeno finora, sia stata notificata solo l'invettiva, è un segnale di debolezza da parte del Senatur. Anche il ricorso ai fascisti è un alibi spesso utilizzato da Bossi nei momenti di difficoltà.
Lo scontro nella Lega perciò resta aperto e dagli esiti tuttora imprevedibili, A rischiare di più, però, è il capo. Se non caccerà Tosi, come sembra intenzionato a fare, dimostrerà al popolo leghista e ai colonnelli della fronda di essere vulnerabile. Se cambierà idea e alla fine espellerà il sindaco di Verona rischierà di trovarsi di fronte a un esodo biblico che dal Veneto si estenderà alla Lombardia e vedrà coinvolti alcuni personaggi ritenuti credibili e affidabili dalla base. In termini di voti la botta potrebbe essere da ko.
Forse Bossi, in questo frangente, potrebbe ricordarsi della strofa di Bocca di rosa su certa gente che dà buoni consigli.
Francesco Angelini

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