La crisi, la responsabilità
e il punto di rottura

 I responsabili di cui abbiamo bisogno non hanno il ghigno di Scilipoti. E neppure l'espressione vacua dei troppi politici così impegnati ad arroccarsi sui propri privilegi da non rendersi conto che la nave, se non affonda, certo imbarca acqua. No, è di persone ben più responsabili della nostra scialba classe politica che si avverte l'urgenza, soprattutto di fronte a un'intera generazione che fatica a trovare lavoro e un'altra che rischia di perdere quello che ha.
A cavallo tra due province storicamente forti, sotto l'aspetto economico e produttivo, quali Varese e Como, in questi giorni si vivono i drammi di centinaia di famiglie che temono per il loro futuro. Sono gli uomini e le donne che lavorano alla Sisme di Olgiate Comasco o alla Lsg Sky Chefs della Malpensa o ancora la Inda di Caravate. In totale, in sole tre aziende, sono più di 500 i posti di lavoro a rischio. Numeri che dicono poco se non vengono associati a volti. Perché dietro a ogni cosiddetto esubero ci sono uomini e donne, e più spesso famiglie intere, con figli da mandare a scuola, ai quali non scippare un sogno coniugato al futuro. La galoppante crisi economica che ha investito l'Italia sta seminando il virus della paura. Che, come effetto collaterale, porta spesso con sé un disagio sociale che rischia di sfociare in tensioni e conflitti.
Non staremo qui a dire che le criminali violenze di Roma sono figlie di questa paura, perché la verità è un'altra; eppure sarebbe un errore sottovalutare - o addirittura ignorare, come dimostrano di fare gli uomini di una Casta che non ne vuole sapere di partecipare assieme a tutti i cittadini agli inevitabili sacrifici - i segnali di rabbia e di trepidante stanchezza che arrivano dalla base.
Quando i piani alti iniziano a crollare è bene ripartire dalle fondamenta. È dal basso che si deve ricominciare a costruire un senso di responsabilità che unisca. O che, almeno, sappia coltivare obiettivi comuni a tutte le pedine impegnate sulla scacchiera della crisi.
Da parte delle aziende, ad esempio. I cui dirigenti, anziché consigliare ai sindacati (com'è successo) di occuparsi di chi non sarà licenziato bensì di coloro che potranno salvare il proprio posto di lavoro, farebbero bene a trovare forme di dialogo costruttivo, magari rimettendo in discussione anche i propri compensi dimostrando un senso di solidarietà che sarebbe un segnale di speranza. Oppure da parte dei sindacati, i quali (ed è successo anche in questo caso) invece di litigare sulle forme liturgiche della protesta dovrebbero trovare il modo di pensare al nocciolo delle questioni sul tavolo. Serve una ventata di responsabilità nuova che investa pure i lavoratori: quante volte proprio da loro è partita la ricetta economica per procedere a tagli di costi che hanno scongiurato tagli di persone.
La folle ricerca del profitto a tutti i costi ha spinto le aziende a un gioco al ribasso, andando a sfruttare la manodopera dove costa meno. Le uscite diminuiscono come le sicurezze della gente, mentre i profitti (di pochi) aumentano assieme ai malumori (di tanti). Il punto di rottura si avvicina. Giovani senza futuro e lavoratori senza presente potrebbero far saltare il coperchio che tiene a bada tensioni sociali finora assopite. Scilipoti non se ne renderà mai conto. I responsabili, quelli veri, possono però fare ancora molto.
Paolo Moretti

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