Quei cento agenti
da rimettere in strada

Tre anni dopo l'entrata in vigore degli accordi di Shengen, il confine tra Italia e Svizzera resta presidiato come certi nebbiosi valichi della Ddr sul finire degli anni Sessanta. Benché Chiasso non sia Potsdam, in servizio rimangono un centinaio di agenti della vecchia polizia di frontiera, che con ritmo e tempismo tutti italiani, il ministero non ha ancora saputo ricollocare, relegandoli in una sorta di terra di nessuno. Cosa fanno? La risposta, detto senza alcun intento offensivo, è dolorosa: non fanno niente.
Negli ultimi mesi, per cercare di dare un senso alla loro presenza, e nell'attesa che qualcuno a Roma si decidesse sul da farsi, si è pensato di attivare una serie di servizi definiti "di retrovalico". Anziché rimanere in ufficio, alcuni di loro - pochi, in realtà - escono in pattuglia per battere le strade lungo il confine, di giorno e, sia pure con frequenza minore, di notte. Lo scopo è quello di tenere genericamente d'occhio i traffici a ridosso dei valichi, e i risultati sono stati a volte interessanti, se non altro perché ci sono interi quartieri - quelli di confine - quasi militarizzati, in cui la polizia è di casa.
Tutto questo, ovviamente, non basta a dare un senso al ruolo di questo piccolo esercito di uomini e mezzi. In provincia di Como ci sono diverse altre necessità, per esempio sul lago o nella Bassa, ai confini con la provincia di Milano. Il ritorno prepotente di fenomeni criminali associativi ('ndrangheta, per esempio) e le difficoltà legate al controllo di un territorio vasto e ad altissima urbanizzazione, avevano riproposto qualche anno fa il tema di un commissariato a Mariano Comense, dove la polizia di Stato avrebbe potuto affiancare l'Arma nel controllo di un'area assettata di sicurezza. Il progetto rimase lettera morta, un po' perché i rapporti con i Carabinieri sono cordiali e improntati alla "massima collaborazione" ma poi, quando c'è da allargarsi, è sempre meglio che ciascuno resti a casa propria, un po' perché il personale a disposizione non c'era (una quota di giovani agenti in ballottagio tra Como e Varese finì a Varese, innescando polemiche infinite sul ministro dell'Interno Roberto Maroni, varesino, che come tale avrebbe favorito i "cugini" a discapito nostro). Ma non solo: cadde prestissimo, in un'epoca ormai più remota e sempre per problemi legati alla reperibilità di personale, anche l'ipotesi di attivare un presidio stabile di polizia stradale a Menaggio, per vegliare su una strada, la Regina, che per anni, tra i nostri figli, ha riscosso un notevole tributo di sangue. Nelle rare occasioni in cui il presidio fu attivato, sia pure in maniera provvisoria e limitatamente al periodo estivo, i risultati, in termini di vite risparmiate, non tardarono a farsi sentire.
Quello che è certo è che cento poliziotti, oggi, non possono restare semi inutilizzati a presidio di valichi su cui non dovrebbe vegliare più nessuno. Esperienze di polizia di quartiere sono servite a dimostrare, anche a Como, che essere vicini alla gente, battendo il marciapiede, è possibile davvero, oltre che utile. Farlo restando in ufficio è impensabile.
Stefano Ferrari

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