L'Expo non viaggia insieme ai pendolari

Molti sostengono, non a torto, che un matematico degno di questo nome mai si sognerebbe di sommare mele e banane o viti e rinoceronti. Due più due fa quattro solo se gli addendi non provengono da universi incompatibili come, tanto per fare un esempio, Fabrizio Corona e l'etica del lavoro.
Questa premessa serve a introdurre un articolo nel quale, a dispetto delle regole e della reputazione dei matematici, si vuole tentare invece un'addizione del tipo incongruo. L'impresa potrebbe riuscire se consideriamo che fuori dai rigorosi confini della matematica vale un po' tutto e l'osservazione diretta, per quanto empirica, si rivela spesso più preziosa e accurata della logica.
Veniamo al punto: due sono le notizie che ieri ci hanno colpito. La prima è quella dell'inferno che i pendolari (nonché i viaggiatori in genere) hanno dovuto affrontare nella serata di lunedì. La seconda riguarda l'annuncio che il progetto di Expo 2015 incomincia a prendere forma con l'arrivo dei delegati di alcuni Paesi interessati alla grande esposizione. Pere e banane, come si diceva, viti e rinoceronti. E tuttavia l'innaturale addizione dei due eventi diventa probabile, quanto non addirittura necessaria, se nel momento in cui la Lombardia vuole farsi casa dell'innovazione mondiale le sue quotidiane infrastrutture - e la rete ferroviaria è certamente una delle più importanti - si confermano insufficienti, inadeguate, provinciali.
Davvero possiamo sorridere, stringere mani, scattare fotografie nelle cerimonie ufficiali quando, qualche strada più in là, i treni non partono, gli orari accumulano ritardo e le forze dell'ordine intervengono per far scendere cittadini esasperati dai vagoni inerti? Forse la verità sul nostro territorio i delegati stranieri la scoprirebbero più dai pendolari che dai politici, più dagli abbonati frustrati che dagli organizzatori di eventi: si accorgerebbero di quanta poca considerazione gode la gente da queste parti e si fiderebbero meno dei discorsi ufficiali. Una sfiducia che i forzati delle ferrovie regionali hanno maturato in anni di promesse disattese, di annunci magniloquenti, di progetti distribuiti alla stampa in cartelle patinate: alla resa dei conti, tutte parole di irrilevante impatto concreto, inutili orpelli di una programmazione miope e di una rigidità esecutiva per nulla all'altezza di un'Esposizione universale.
Davanti a queste realtà, forte insorge il sospetto che Expo 2015 sarà, qui più che altrove, una grande mascherata ipocrita. Se la Cina, con lo show di Shanghai, volle flettere il muscolo dell'economia per distrarre il mondo dalle tare del suo sistema politico e sociale, da noi si cerca di stendere una patina luccicante su un apparato amministrativo paralitico, incapace di reale innovazione. In entrambi i casi, molta scena e poca sostanza.
Quali eccellenze potremo sinceramente esibire se la verità è che i treni dei pendolari non partono, e se partono bisogna fare il biglietto con le monetine, e se, a fronte di arterie stradali congestionate e obsolete, l'orario dei treni locali è fermo, così a occhio, al giugno 1972? Quale Expo, insomma? Quale esposizione? Come dicono alla Bovisa: ma Expo de che?

Mario Schiani

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