L'addio a botta
sindaco del fare

«Tutt ball». E' il principio e la fine di un'intervista al sindaco Alberto Botta sull'incandescente situazione politica in Comune alla fine degli anni '90. La maggioranza era spaccata, lui e buona parte della Giunta non erano in sintonia con i partiti di riferimento, l'attività amministrativa risultava paralizzata. Ma a Botta interessava parlare di Nablus, la cittadina palestinese gemellata con Como.
Era fatto così. E il «tutt ball»” non esprimeva la volontà di togliersi dai piedi il giornalista modesto, bensì la sintesi del suo pensiero sulla faccenda.
Il politico impolitico Botta non sopportava la politica parolaia. Se mai dentro Forza Italia a Como e non solo c'è stato un uomo del fare questo era lui. Lui, figlio di un parlamentare liberale entrato nella storia d'Italia per essere stato promotore della legge sull'ora legale, la politica la conosceva bene. Forse per questo aveva fatto gli anticorpi da quella deteriore. Prima di correre come sindaco per Forza Italia, nel 1994, era stato candidato al Parlamento con i referendari del professor Massimo Severo Giannini.
Liberale fino al midollo. credeva davvero in quella rivoluzione liberale sbandierata da Berlusconi nel momento della discesa in campo. E ne è rimasto disulloso. Quello sul destino beffardo non è un luogo comune. Alberto Botta esce di scena (troppo presto) proprio mentre si conclude una stagione politica di cui è stato, almeno a Como, uno dei pioneri. Una stagione che non ha dato i frutti sperati: lui stesso ne era conscio.
Da uomo del fare ha fatto come sindaco della città e nella carica, certo più amata, di presidente provinciale del Coni. Perché se il Botta politico con i giornalisti si esprimeva o monosillabi o taceva, quando lo si stuzzicava sullo sport, anzi sulla cultura sportiva, non bastavano i taccuini. Ma anche come amministratore ha lasciato un segno. Molti nastri tagliati anche in epoche recenti sono opere avviate o ideate durante i suoi otto anni al vertice di palazzo Cernezzi. L'ultimo piano regolatore della città è stato redatto sotto la sua amministrazione, anche se forse non è riuscito come avrebbe voluto lui. Colpa della malapolitica che aveva infettato il suo secondo mandato rendendolo infernale per un uomo pragmatico come lui. Al primo giro andò meglio, perché coincideva con la stagione del dopo Tangentopoli, con i partiti annientati e indeboliti dalla magistratura e dell'antipolitica. Sindaco quasi per caso, poiché Forza Italia non era ancora un partito (ammesso che lo sia mai diventata a Como) ma quasi un circolo.
Vinse per l'harakiri del suo avversario al ballottaggio, Moritz Mantero che rifiutò l'appoggio decisivo dei pur flebili Ppi e Pds. Era il 1994. Botta ebbe mano libera su quasi tutte le scelte in giunta, che presentò prima del voto (quattro anni dopo il parto fu assai più travagliato). Era innervata dalla società civile. Un gruppo di persone che si stimava e parlava la stessa lingua.
Da lassù, Alberto Botta, si starà certo infastidendo davanti alle commemorazioni, perché era persona mite ma uomo non facile. Allora corre l'obbligo di ricordare quella che fu la pupilla del suo occhio da sindaco: il pregevole recupero del chiostro di Sant'Abbondio.
Smessa la grisaglia ufficiale mostrava un sense of humor sorprendente per chi non lo conosceva a fondo. Quando, durante un festival di Sanremo, Teo Teocoli lanciò un esilarante rap, questo giornale pensò di dedicarne uno all'allora sindaco. Che rispose, in senso letterale, per le rime. Ora avrà il tempo di riprendere a battibeccare con Beppe Santangelo (lo fecero da avversari e alleati), uno totus politico, il suo opposto ma accomunato dalla passione per le cose da fare. E se ogni tanto gli scapperà un «tutt ball», si sappia che Botta non intende offendere nessuno. E' solo la sintesi del suo pensiero sulla politica parolaia.
Francesco Angelini

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