Non più tasse
ma Stato più magro

Il "governo di emergenza" se la sta prendendo comoda. Se a molti non è parso vero di potersi finalmente affidare ad un "tecnico" per non subire più i veti incrociati dei partiti, il tempo che stiamo perdendo per le nomine dei sottosegretari dimostra che i partiti politici sono vivi e vegeti. La situazione è particolarmente grave, dal momento che con Monti giustamente impegnato a trattare con Merkel e Sarkozy, e senza viceministri, il ministero dell'Economia è completamente sguarnito e, dunque, siamo fermi proprio sul fronte dei provvedimenti "urgenti". Insomma, per ora stiamo vedendo non un governo "d'emergenza" ma un governo "di grande coalizione".
Le grandi coalizioni sono temporanee, e di solito preludono e anticipano una campagna elettorale. I partiti politici, in attesa delle elezioni, sono ben attenti a cercare di non perdere voti, col risultato che i voti incrociati aumentano e che non si mette mano alle riforme più controverse. La cartina di tornasole, nel caso di Monti, saranno la riforma delle pensioni e quella del mercato del lavoro. Se il primo ministro non riuscirà, forte del suo prestigio e magari anche di quello di un ministro dell'Economia in carne ed ossa, a riguadagnare margini di autonomia, è probabile che i partiti non si metteranno d'accordo su nulla, e allora si ricorrerà, per tamponare le falle nel bilancio pubblico, alla soluzione più antica del mondo: aumentare le tasse. A cominciare, magari, dalla accise su carburanti e sigarette, eterne candidate al ritocco.
È sensato? Nei giorni scorsi tutti i giornali hanno insistito su due punti apparentemente universalmente condivisi: bisogna aumentare le entrate e ritornare alla crescita. Se ne è parlato diffusamente, come le due cose non fossero in contraddizione. Gli economisti sono divisi su ciò che può effettivamente "stimolare" la crescita: ci sono scuole di pensiero e visioni politiche diverse.
Di una cosa, però, possiamo star sicuri: che se c'è un modo infallibile per non ravvivare la crescita, quello è aumentare la pressione fiscale. Più tasse significano meno quattrini nelle tasche delle persone. Come si fa a crescere di più se gli individui hanno meno soldi da spendere? Come si può crescere se c'è meno risparmio, e quindi meno materia prima per gli investimenti?
L'aumento delle tasse crea incertezza (se aumentano quest'anno, cresceranno anche il prossimo?) e contribuisce a frenare ulteriormente un'economia già debole. Che poi siano sottratti denari al contribuente prendendoglieli "sul reddito" o "sul patrimonio" vuol dire nulla. Se ho meno soldi in busta paga, o se mi levano denari dal conto corrente, la mia reazione non è diversa: resta il fatto che ho meno risorse a disposizione. Un gruppo di cittadini italiani, che si ritrova sotto la bandiera di un "Tea Party" ispirato a quello americano, ha convocato ma riunione a Milano, «contro le tasse». In un momento come questo, può sembrare persino una bizzarria. Ma, al punto in cui siamo, servono delle Cassandre, che ci mettano in guardia dall'incendio alle porte, se non altro affinché la storia non venga scritta solo dai potenti. Gli italiani sono fra i più tassati d'Europa. La pressione fiscale complessiva si avvia verso il 43%. Se gli italiani pagano di più, coloro che vivono di spesa pubblica hanno più risorse a disposizione, e diminuisce pertanto l'incentivo a riformare il modo in cui funziona lo Stato. Mai come oggi lo Stato italiano avrebbe bisogno di una cura dimagrante. Non ha davvero senso aumentargli le porzioni.
Alberto Mingardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA