L'Italia del rigore
e quella del malaffare

Un Paese unito. Per i 150 anni, certo, ma anche per altro, di meno edificante: le mazzette e sotto il segno della criminalità più letale, infiltrante come un cancro.
Due inchieste ieri, le ultime di tante altre, hanno portato allo scoperto ancora tangenti e legami insani fra elementi della 'ndrangheta e i "colletti bianchi". Non solo, addirittura sarebbero emersi contatti stretti e spiate fra magistrati in prima linea nella lotta alla malavita e le cosche che loro stessi avrebbero dovuto scoprire e sterilizzare.
Due inchieste che investono in pieno la Lombardia, colpendo ancora un vicepresidente della regione, Franco Nicoli Cristiani, del Pdl, che sembra seguire il destino giudiziario riservato prima al democratico Filippo Penati. Per entrambi - sempre con la presunzione d'innocenza - i magistrati ipotizzano un giro di mazzette, in questo caso legato allo smaltimento di rifiuti tossici finiti tra l'altro, sotto l'asfalto della futura Bre.Be.Mi. Tutto questo accade pochi giorni dopo la svolta che ha portato a Palazzo Chigi un governo tecnico. Lo strappo non potrebbe essere più evidente, il raffronto stridente: da un lato un premier e i suoi ministri che vogliono salvare un Paese sull'orlo del tracollo, cercando disperatamente di bloccare un flusso debitorio che ha pochi eguali nel mondo e riformare una forma-Stato che questo fiume ha ammesso e protetto da decenni. Dall'altro, proprio il cuore di un sistema il quale non ha ancora capito che un'epoca si sta chiudendo, che gli anni del denaro facile, dei funzionari o dei politici disposti a farsi "oliare", stanno finendo. Se non altro, come ebbe a dire una volta Piercamillo Davigo, magistrato del pool di Mani Pulite, perché «i soldi sono finiti».
Il messaggio nato con il governo Monti è questo: il premier parla di rigore, crescita e equità riferendosi ai bilanci pubblici, annuncia sacrifici e rinunce, ma neppure troppo indirettamente il riferimento va anche a questa Italia che, da Nord a Sud, ha visto il crimine farsi istituzione e ricattare, se non impossessarsi, di intere fette di territorio. Se le ricette dell'agenda Monti, le sue riforme entreranno in vigore, dalle più invasive a quelle apparentemente marginali, gli spazi per lucrare sugli appalti, per fare un business delle salute, dell'ambiente - tanto per citare alcuni esempi legati a inchieste recenti - si faranno tanto stretti che potrebbe essere la volta buona per sconfiggere le varie mafie e scacciare i corrotti dai palazzi della politica, nazionale e locale. Oggi, come ai tempi di Tangentopoli, tutti plaudono a Monti: ma se le misure draconiane annunciate per salvare il Paese entreranno tutte in vigore, questo favore sarà così ampio e convinto, soprattutto da parte di chi vedrà i suoi imperi del male sull'orlo del baratro?
La vera scommessa di questo governo, nato per necessità ed emergenza, in fondo è proprio questa: arrivare a cambiare il Paese, una di quelle rivoluzioni dalle quali gli italiani, nella loro storia e con l'eccezione del Risorgimento, sono spesso fuggiti. L'obbiettivo è sviluppare la concorrenza, produrre opere che costino il giusto prezzo, siano efficienti, necessarie e realizzate nei tempi adeguati, che il territorio sia occasione di sviluppo libero e non condizionato dal terrore. Il risanamento del bilancio dello Stato e delle menti passa anche di qui. Così i 150 dell'Unità potrebbero essere la data d'inizio del secondo Risorgimento.
Umberto Montin

© RIPRODUZIONE RISERVATA