Veni, vidi, Ici
ma con giudizio

Se il presidente Monti avesse in animo di consegnare se stesso alla posterità, potrebbe già contare su un motto da annotare nei libri di Storia: «Veni, vidi, Ici».
Da subito, la casa è stata nel mirino del suo piano di risanamento. Fin dal primo discorso in Senato, il premier non aveva mancato di sottolineare come «l'esenzione delle abitazioni principali» fosse «una peculiarità se non un'anomalia del nostro ordinamento» e che sarebbe stato «necessario riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare». Più chiaro di così.
Beh, più chiaro di così poteva essere, ma in un solo modo, ovvero dichiarando apertamente: «Cari italiani, vi stangheremo sulla casa; laddove stenderete uno zerbino, lì calerà il maglio del Fisco». Questo perché, dicono le statistiche, tanti italiani possiedono quella che Monti definisce «ricchezza immobiliare». Intendiamoci, la definizione è tecnicamente ineccepibile ma fotografa con esattezza soltanto il lato semantico della faccenda, mentre fallisce di gran lunga nel definire quello sociale. In altre parole, la gravosa definizione "titolare di patrimonio immobiliare" si applica indistintamente a chi possiede ville disseminate in tutta Italia, magari con particolare predilezione per le coste sarde, quanto a chi, ogni mese, doppia con una certa angustia il capo del mutuo decennale.
Tanti italiani hanno la casa, insomma, e questo non lo si può negare, ma non tutti ce l'hanno nello stesso modo. Soprattutto, non si può pensare che il possesso di un'abitazione sia incontestabile spia di opulenza, ovvero di quel lusso che si vorrebbe intaccare per rimettere in sesto il bilancio dello Stato. Piuttosto, il tenace desiderio di vantare il possesso della propria abitazione è il riflesso di una radicata - antica? - consuetudine all'instabilità delle contingenze politiche e sociali, perfino un antidoto alla scarsa affidabilità dei governanti e dei funzionari che i governanti rappresentano. La casa di proprietà è dunque molte cose insieme: un nido, un rifugio, un investimento, un'assicurazione sulla vita.
Con questo non si vuol sognare un improvviso ripensamento del governo: l'Ici sulla prima casa è tornata e resterà. Con ogni probabilità - vista la situazione d'emergenza - è giusto sia così. Ma, poiché il Parlamento sa bene come in questa fase è ammesso apporre alla manovra qualche aggiustamento (lo ha dimostrato, il Parlamento, tentando di scongiurare con tempismo da cavalleria yankee il taglio delle indennità), è forse possibile auspicare qualche azione intesa ad alleviare il peso che sta per abbattersi sulle famiglie. Già aiuterebbe se i Comuni, da parte loro, evitassero di accanirsi, rinunciando ad applicare sulla prima casa le aliquote "maggiorate", ma bene sarebbe pensare a meccanismi di protezione per coloro che hanno fatto della casa l'unico scudo (non fiscale, ma umano) contro l'incertezza dei tempi.
C'è una nota, infatti, che si potrebbe aggiungere alle parole di Monti sulla peculiarità dell'esenzione italiana: se "anomala" è l'esenzione, "anomala" - rispetto all'Europa e forse al mondo intero - è anche la prospettiva degli italiani nei confronti della casa. Un fattore non solo economico ma culturale, che andrebbe tenuto in considerazione anche perché, a guardar bene, di sicuro non ci fa umanamente inferiori a nessuno.

Mario Schiani

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