La libertà del lavoro
non prende il taxi

 Non c'è nulla da fare: pure stavolta le liberalizzazioni resteranno al palo. Nonostante l'economia sia ingessata da mille corporazioni che in vario modo impediscono di crescere, tenendo alti i prezzi dei servizi e ostacolando il miglioramento della qualità, anche il governo Monti - come quelli che l'hanno preceduto - non intende creare spazi d'azione per i giovani e più opportunità per quanti vogliano intraprendere.
La vicenda dell'ennesimo rinvio riguardante i taxi, dopo che di fatto è già stata messa in naftalina l'ipotesi di liberalizzare notai e avvocati, è emblematica: e il risultato è che spesso ci si trova a non disporre di un servizio (aspettando indefinitamente l'autovettura che non c'è), mentre abbiamo persone senza lavoro che sarebbero interessate a entrare in quel mercato, ma non possono a causa di norme illiberali. A ben guardare manca solo una vera volontà politica, poiché gli altri ostacoli sarebbero superabili. Ai tassisti che si lamentano per i danni che potrebbero derivare dall'apertura  del mercato o che ricordano di aver versato grosse somme per acquistare la licenza, si potrebbero rispondere in termini assai ragionevoli. Ad esempio recuperando il progetto avanzato dall'Istituto Bruno Leoni, che ha proposto di regalare a ogni tassista una seconda licenza vendibile. Il numero dei taxi aumenterebbe, ma una parte rilevante del beneficio andrebbe ai conducenti stessi.
Il problema è che la politica si arrende ancor prima di discutere: e questo nonostante stavolta in materia vi sia anche una richiesta esplicita dell'Unione europea, la situazione economica sia disastrosa, la necessità di evitare un crollo appaia evidente a tutti. Ma neppure in tale frangente quanti ci governano sembrano capire l'esigenza, per lo Stato, di aprire i mercati alla concorrenza.
Il caso dei tassisti è emblematico, soprattutto perché segnala il permanere di una cultura. Se non si liberalizzerà questo settore, infatti, ben poco c'è da attendersi nell'ambito dei servizi locali, delle poste o del mercato del lavoro. Nella classifica "Doing Business" (guidata da Singapore, Hong Kong e dalla Nuova Zelanda) che è stilata dalla Banca mondiale per indicare i Paesi in cui è più facile avviare e condurre un'attività produttiva, l'Italia si trova in ottantasettesima posizione e giunge dopo la Mongolia, lo Zambia e la Moldavia. Non solo si tratta di dati ben conosciuti in tutto i Paesi e che vengono continuamente tenuti d'occhio da chi investe, ma si è anche e soprattutto di una classifica che attesta quanto davvero ci sia da fare in questo ambito.
È soprattutto incredibile come da un lato si usi molta retorica a difesa di posti di lavoro in molti casi non difendibili (quando si tratta di imprese incapaci di stare sul mercato, che non sanno soddisfare i consumatori), mentre dall'altro non si faccia nulla - né da parte politica, né da parte sindacale - per permettere lo sviluppo di nuove iniziative e per dare più dinamismo.
Un governo che cede dinanzi ai tassisti sembra quasi una rappresentazione simbolica di un'Italia che si arrende di fronte alla propria disfatta. L'augurio è che non sia così, ma simili scelte inducono al pessimismo.
Carlo Lottieri  

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