Obama, Facebook
e i nostri figli

La notizia è subito rimbalzata sui siti Internet di mezzo mondo. E non poteva essere altrimenti. Il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha vietato l'uso di Facebook alle sue figlie. "Perché mai- ha detto l'uomo più potente del mondo- dovremmo far sapere i fatti nostri ad un intero gruppo di persone che non conosciamo? La cosa non ha molto senso". E poi ha aggiunto: "Vedremo come le mie figlie si sentiranno fra quattro anni".
Una bella sfida, perché è come chiedersi: è possibile oggi crescere anche senza l'ausilio di Facebook, Twitter o quant'altro?". Beninteso. Nessuno di noi si sognerebbe di mettere all'indice l'uso delle nuove tecnologie. Sarebbe da pazzi. Sarebbe come non riconoscere quanti benefici ha portato la possibilità di usare mezzi che ti aprono una finestra sul mondo, che ti permettono di comunicare con persone che stanno a migliaia di chilometri. Ma la sfida lanciata da Obama alle sue figlie, val la pena di essere raccolta per un altro motivo.
Oggi il web viene usato da migliaia di giovani come una piazza virtuale. Da molti come uno strumento per combattere la solitudine, da altri come la  possibilità di raccontare i propri sogni, da altri ancora come semplice mezzo di comunicazione. Ci si lascia a scuola all'una e mezz'ora dopo si inizia a messaggiare sul web, invece che ritrovarsi da qualche parte e parlare faccia a faccia.
Insomma, l'uso sproporzionato di questi mezzi cancella il rapporto personale, illude che problemi come la solitudine, l'incapacità comunicativa, la timidezza, possano essere risolti scrivendo su una tastiera. Lo scopo di Facebook è cercare amicizie, ma se ci pensate la cosa fa un po' rabbrividire. Come si fa a cercare e trovare amicizie in un modo virtuale? Si rischia un'illusione che fa più male della realtà.
Il male che affligge le nuove generazioni, spesso, è proprio questo: l'incapacità di avere un rapporto sincero con la realtà, l'insoddisfazione per un presente che sembra a volte troppo banale, la difficoltà di avere rapporti con gli altri, la necessità di inventarsi modi d'essere, di apparire diversi da quello che si è.
Una volta tutto questo esisteva, forse in maniera minore, ma esisteva. Ma le condizioni ti obbligavano a fare un passo verso la realtà. Se sentivi il bisogno di trovare amicizie, rapporti importanti, eri in qualche modo costretto ad andarli a cercare. E quelle amicizie, una volta trovate, avevano nomi, facce e storie. Ci si trovava in piazza, all'oratorio, o magari nel cortile di casa. E trovandosi c'era anche modo di guardarsi attorno, di scoprire la realtà e condividerla con dei compagni di viaggio.
Oggi si rischia che tutto questo non avvenga più. Ci si ripara nel buio della propria stanza e si cercano amicizie che il più delle volte restano virtuali, si raccontano storie che spesso non interessano a chi le legge. E ci si illude che tutto questo possa servire a qualcosa.
Beninteso, stiamo parlando del rischio di un'eccessiva illusione. Ma è un rischio che esiste e che riguarda anche i nostri figli. Il nostro compito è quello di aiutarli a capire che la realtà è molto più grande e più bella di una pagina di Facebook.
Massimo Romanò

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