Contrordine padani No al federalismo

Il genio di Giovanni Guareschi sta senza dubbio nella sua attualità che rimane integra nel tempo. Molti ricorderanno le esilaranti e caustiche vignette contro il Pci sul "Candido" con il "Contrordine compagni". Ecco se lo scrittore parmense fosse ancora vivo punterebbe la sua matita non contro il partitone rosso (che peraltro si è estinto), bensì contro la Lega, non a caso la più vecchia forza politica italiana e anche la più leninista.
Contrordine padani si potrebbe affermare parafrasando l'inventore di don Camillo e Peppone. Perché la Lega che dovrebbe avere il federalismo nel Dna sta contrastando in tutti i modi il governo più federalista che mai il paese abbia avuto.
Vero che Monti ha abolito il ministero delle Riforme, cucito addosso a Umberto Bossi proprio per raggiungere il traguardo ambito dalla Lega fin dai tempi in cui il Senatur girava per la Lombardia a vergare slogan autonomisti sui cavalcavia delle autostrade con Maroni (a cui sporcò l'auto di vernice).
I provvedimenti adottati dai tecnici sono però (e purtroppo) quanto di più federalista sia stato fatto finora. Tant'è che l'odiata Imu contro cui i sindaci leghisti meditano di fare obiezione di coscienza era prevista anche nella riforma federalista avviata dal governo Berlusconi con i leghisti nei ministeri e nell'esecutivo.
Contrordine leghisti, perciò. State combattendo una norma che avete voluto voi. Se il federalismo fiscale è spostare i centri di spesa da Roma agli enti locali, l'Imu ne è un esempio perfetto. O meglio perfettibile, visto che una parte degli introiti della nuova tassa sulla casa prende comunque la via della capitale.
Lo stesso discorso vale per un'altra simpatica sorpresa spuntata ieri nel bilancio della Regione Lombardia. Si tratta dell'aumento dell'addizionale Irpef regionale, una voce già presente nelle buste paga di coloro che le tasse, di riffa o di raffa, sono costretti a versarle perché trattenute alla fonte.
Monti infatti, bontà sua, ha autorizzato le regioni ad innalzare il balzello per compensare la draconiana sforbiciata ai trasferimenti governativi. E nessuno si è tirato indietro. Anche perché, va detto ad attenuante dei governatori, alternative non ve n'erano.
Questo però è federalismo fiscale. Certo, per l'immaginario dell'elettore medio leghista non è una bella scoperta. Lui pensava (anche perché glielo hanno raccontato) che federalismo fiscale volesse dire meno tasse. Perché, per dirla tutta, quanti sono quelli che pagano più volentieri i Comuni piuttosto che lo Stato?
L'inghippo caso mai starebbe nel fatto che foraggiando di più agli enti locali bisognerebbe versare meno a Roma. Cosa che non accade con il federalismo di Monti. Ma non sarebbe successo (e magari non succederà visto che l'iter comunque prosegue) con quello di Tremonti e la Lega.
Perché per pagare meno tasse, con il federalismo o senza, c'è bisogno che i conti dello Stato come delle Regioni e dei Comuni siano a posto. E che le tasse le paghino tutti anche coloro che (e ci sono) evadono perché non c'è il federalismo fiscale. Quante volte avete sentito questi discorsi?
La Lega e Tremonti avrebbero perciò dovuto applicarsi un po' di più quando governavano per sistemare i bilanci pubblici (sistemare non aggiustare). Se lo avessero fatto ora magari avremmo un federalismo fiscale dal volto umano. E non con le ganasce spalancate.

Francesco Angelini

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