Che tanti comaschi abbiano superato, o stiano superando, la tradizionale ritrosia verso l'impegno pubblico, che è l'altra faccia della medaglia del loro attivismo privato, la dice lunga non solo sul malcontento diffuso per la situazione nella quale vive oggi la città (e soprattutto per la sua mancanza di prospettive) ma anche sulla disistima che largamente circonda chi ha dato vita all'esperienza amministrativa che sta per concludersi.
Sfortunatamente, non è possibile illudersi che tutto questo appartenga alla fisiologia della vita politica - nel senso che il mancato gradimento per una maggioranza significhi automaticamente promozione dell'opposizione a forza di governo - perché il giudizio negativo degli elettori sembra coinvolgere largamente l'una e l'altra, maggioranza e minoranza, la prima per le sue carenze - volendo usare un eufemismo - nella soluzione dei problemi della città, la seconda per non aver saputo imporne il superamento.
La conseguenza è appunto un disagio giunto a un livello tale che un numero non trascurabile di "cittadini comuni", che magari hanno ottenuto discreti successi nelle rispettive attività professionali, sentono ora un bisogno mai avvertito prima: quello di occuparsi finalmente in prima persona di ciò che accade nelle segrete stanze di Palazzo Cernezzi.
Il fenomeno ha, come sempre accade, una faccia largamente positiva e una non priva di rischi. La prima è quella che coincide con la constatazione che della "res publica" siamo in qualche modo tutti responsabili e limitarsi a un distratto esercizio del voto quando vi si è chiamati non è sufficiente a ritenere di aver fatto il necessario per il bene comune. E che si mostra finalmente disposta a un impegno in prima persona, quello che in politichese si chiama - appunto - "metterci la faccia". Si tratta di un'apprezzabile evoluzione degli atteggiamenti personali e collettivi che non può che essere associata a un più puntuale interesse per le sorti comuni.
Il risvolto al quale invece bisogna prestare molta attenzione è l'eccesso di fiducia tipico del neofita e il manicheismo di un giudizio per il quale tutto ciò che è "politico" è male e tutto ciò che è "civile" è bene.
L'entusiasmo per la prospettiva eventuale di strappare il Comune alla gestione delle forze che, insieme, l'hanno fin qui governato, chi dai banchi della maggioranza e chi da quelli dell'opposizione, non dovrebbe far dimenticare che, nel momento in cui l'impresa riuscisse, in tutto o in parte, ci sarà sempre bisogno della "politica".
Per quanto demonizzata, essa è comunque lo strumento indispensabile per il governo della città, visto che - come già argomentava Platone nel Protagora - nessuno ha ancora scoperto come si insegna (e come si impara) la "virtù politica". Nel frattempo, quindi, sarà opportuno non spingere la critica all'operato dei partiti a un punto di contrapposizione che renda difficile una futura collaborazione. Che è - secondo ogni ragionevole previsione - il risultato massimo al quale le liste civiche possono aspirare.
Antonio Marino
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