Liberi tutti. Dopo il decreto sulle liberalizzazioni, a Como, si è respirato un clima nuovo. Ma il problema movida non era affatto risolto, solo rimandato. Per un motivo semplice: a gennaio fa freddo e la gente esce poco la sera. Adesso che la bella stagione è alle porte la polemica risuona come mai in passato.
E risuonano sinistre le parole del sindaco, che avverte: «Il rischio di violenza è reale. Può succedere di tutto». Qualcuno alzerà le spalle, ricordando che la mamma di Bruni abita proprio in via Diaz, storico ombelico della movida comasca. Errore grave. L'allarme del primo cittadino non va sottovalutato. Per due motivi.
Il primo è che ha trovato immediata conferma nelle parole del prefetto, solitamente molto pacato nell'uso degli aggettivi: «Siamo di fronte a una situazione critica, i residenti sono esasperati. Potenzieremo i controlli, ma non posso mettere un poliziotto davanti a ogni bar. La forza pubblica da sola non basta...». Il secondo arriva direttamente dal portavoce dei residenti. E più che a un campanello d'allarme assomiglia a una... campana.Quella dell'esasperazione più profonda: «Quando continui a subire, rischi di esplodere. E possono nascere situazioni estreme». L'eventualità di reazioni da parte dei cittadini, a questo punto, va considerata reale. Tanto più che la liberalizzazione degli orari, da gennaio, ha sottratto al Comune la possibilità di regolare l'attività dei pubblici esercizi. O di reprimerla, se la vediamo da un altro punto di vista, posto che i baristi avevano bollato l'ordinanza come un coprifuoco.
Come se ne esce? Le premesse non sono delle migliori, tanto è vero che - incredibilmente - le parti in causa non hanno ancora trovato il modo di incontrarsi e discuterne. Bruni non ha mai fatto mistero di sposare la causa dei residenti, affermando più volte che Como non è Rimini e che non c'è posto per i fracassoni. D'altra parte il decreto sulle liberalizzazioni è una realtà, che non può essere ignorata. Non solo. C'è un altro dato di fatto: l'economia comasca sta cambiando pelle e se non vuole finire in default deve puntare con decisione sul turismo. E per puntare sul turismo non si può permettere di ritrovarsi blindata.
Quindi? Come sempre, nella vita, le bombe si disinnescano con il buonsenso. Ognuno, nei rispettivi ruoli, deve imparare a coniugare le proprie esigenze con il dovuto rispetto per gli altri.
I baristi devono poter lavorare, ma non possono diventare complici di chi fa casino. I clienti hanno il sacrosanto diritto di divertirsi, che non contempla però l'armamentario del vandalo o del disturbatore di professione. Chi ha il compito di vigilare ha il dovere di essere presente, con discrezione e senza farci sentire in uno Stato di polizia, intervenendo in modo mirato quando si supera il limite. E i residenti, infine, provino a essere più tolleranti. Anche se - oggettivamente - non è cosa facile quando non riesci a dormire o ti suonano il campanello alle tre di notte. In questa fase è interesse di tutti non esasperare la situazione. Il modo migliore per evitarlo è riannodare l'esile filo del dialogo, mettendo attorno a un tavolo, con spirito collaborativo, tutti gli interlocutori (baristi, residenti e istituzioni) e i loro legittimi interessi.
Nessuno - ci auguriamo - vuole davvero chiudere la città. Piuttosto il buon senso vuole che sia interpretata con intelligenza la possibilità di vivere di più la città.
I titolari dei pubblici esercizi, ma soprattutto i loro clienti, hanno tutto il diritto di prendersi il terreno concesso dal decreto Monti, ma non quello di travalicarlo. Anche perché superare i limiti potrebbe davvero portare a gesti inconsulti. Di più. Significherebbe far sparire il terreno. E un'ordinanza per motivi di ordine pubblico, questa sì, sarebbe una sconfitta. Per tutti.
Emilio Frigerio
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