Funzionerà? Le resistenze al taglio della spesa pubblica sono, in primo luogo, politiche. Chiamiamo “spreco” nel discorso comune la cattiva allocazione di risorse e professionalità. Lo “spreco” più evidente sta spesso nel pubblico impiego, che però definisce una categoria di persone che vivono di un salario che viene assegnato loro dalla classe politica. Queste persone votano, e rappresentano una constituency che nessuno vuole alienarsi.
Al governo dei tecnici viene riconosciuto il “pregio” della distanza dal consenso popolare. Non li ha votati nessuno, per questo possono tagliare con decisione: sono in molti a pensarlo. E tuttavia l'esecutivo parla di tagli per poco più di 4 miliardi, su un corpaccione di 800, pur ritenendo che la spesa pubblica “rivedibile”, ciò di cui, per così dire, “si può discutere, sia cinquanta volte tanto.
Il ministro Giarda qualche settimana fa ha detto più o meno che l'obiettivo della spending review era fare efficienza nell'ambito dell'esistente, senza ragionare su “cosa deve fare lo Stato” (e cosa, invece, non deve fare). Si userà la lima, non l'accetta.
Non è un punto di vista insensato. Il dibattito su quello che deve e non deve fare lo Stato è intrinsecamente “politico”. Chi ha un catalogo di proposte dovrebbe sottoporlo agli elettori, e farsi di dire di si o di no sulla base di quello.
In Italia, non è facile, e a dire il vero non succede da anni. L'ultima campagna elettorale in cui l'oggetto era - apertamente - la riduzione del peso dello Stato è stata quella del 1996. Né destra (Berlusconi) né sinistra (Prodi) volevano conservare tutto com'era. Berlusconi si arrischiò persino a promettere una revisione dello Stato sociale. Perse le elezioni, e la sconfitta gli servì di lezione: non ne ha più parlato, né si è mai più interessato al tema nella sua esperienza di governo.
Quella del governo tecnico, allora, forse è davvero un'occasione irripetibile. Se la prossima campagna elettorale somiglierà alle precedenti, è probabile che o si tagli ora oppure mai più. Tuttavia, il fatto che i tecnici esternalizzino i tecnici ad un altro tecnico lascia perplessi. E pure un po' perplessi lascia il fatto che si tratti di un grande manager, e non di un esperto del bilancio dello Stato: che non è paragonabile a quello neppure dell'impresa più grande.
Bisogna concluderne che tagliare la spesa non è possibile? No, ce l'ha fatta anche un governo di “grande coalizione” come quello di Cameron, potrebbe farcela un governo di grande coalizione come questo - ma dovrà per forza coinvolgere nella decisione i partiti, che devono fare ingollare la pillola ai loro elettori.
Stupisce però che il governo continui a non aprire il dossier privatizzazioni. Decidere quali servizi fornire nell'ambito della sanità è una decisione politica, che deve passare il vaglio degli elettori. Le partecipazioni dello Stato sono cosa diversa. Se convenga o meno mantenere un piede in Enel, Eni e Finmeccanica, per esempio, è questione che non chiama in causa i fondamenti dello Stato sociale. Lo stesso vale per le ferrovie, le poste, l'assicurazione infortuni: i cittadini vogliono servizi efficienti, non necessariamente un operatore pubblico. Anzi: se l'obiettivo è offrire buoni servizi, la concorrenza funziona senz'altro meglio del monopolio pubblico.
Abbiamo un debito di quasi 2000 miliardi e, comunque vadano le elezioni in Francia, siamo - con gli altri Paesi del Sud dell'Europa - destinati a “ballare” sui mercati. Serve un segnale forte. Un programma di privatizzazioni potrebbe esserlo. Ben più di un nome eccellente, messo a capo dell'ennesima commissione.
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