Tutti gli esponenti dei partiti tradizionali non perdono occasione per sbeffeggiare il movimento di Beppe Grillo. Pur con le ampie riserve che è lecito nutrire nei confronti di questo movimento, occorre riconoscere che il "grillismo" rappresenta il sismografo di un terremoto in atto, il segnale di una crisi che ha toccato in modo irreversibile il sistema politico italiano: come dire, il sintomo di una patologia da ricercare altrove. La nostra classe politica è abile nell'accusare di qualunquismo chiunque osi mettere in discussione la sua credibilità. L'espediente con il quale il nostro ceto politico cerca disperatamente di sopravvivere ricorda quello di Luigi XIV, il celebre Re Sole, il quale, teorizzando la perfetta identità tra sé e lo Stato, aveva assicurato alla propria immagine l'onore ed il prestigio spettanti all'istituzione statuale.
I nostri politici usano adottare il medesimo stratagemma: chi osa mettere in discussione il loro operato o la loro caratura morale, mette in discussione i partiti, dunque l'ordinamento democratico "tout court". Da tale grottesca aberrazione discende l'inevitabile accusa di demagogia a chiunque osi contrapporsi allo strapotere dei gruppi dirigenti. La verità è che la cosiddetta crisi della politica non è altro che la crisi di rappresentanza che ha investito i gruppi dirigenti dei partiti i quali, negli ultimi tempi, hanno dato la netta sensazione di essere del tutto avulsi dai problemi reali del cittadino. La forte sensazione è che stia per chiudersi definitivamente una fase della politica italiana.
Stiamo vivendo una grande transizione che ha messo a nudo le nefandezze e i privilegi di una casta incline a preoccuparsi esclusivamente del proprio esilio dorato. Anche grazie alle trasformazioni innescate dalla globalizzazione, emerge il dato inconfutabile di un ceto politico inadeguato e incapace di interpretare i bisogni di una società che appare sempre più disarticolata a causa di una crisi di cui tuttora non si intravede la fine.
Per questo motivo, è giunto il momento di dare il benservito non ai partiti, che restano un irrinunciabile architrave della democrazia rappresentativa, ma agli attuali gruppi dirigenti, senza artificiose distinzioni tra destra e sinistra che abbiamo scoperto essere felici commensali con la sola diversità nel loro modo di stare a tavola. Muore per sempre la cosiddetta Seconda Repubblica che ha perfino fatto rimpiangere la Prima. Chi l'avrebbe mai detto. Davvero non c'è mai limite al peggio in questo sventurato paese!
Antonio Dostuni
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