Fra tante analisi politologiche e meteorologiche (in comune hanno la scarsa attendibilità delle previsioni), l'unica certezza è che la disaffezione a votare, che un tempo era considerato un dovere anche per la legge, continua a crescere. È successo, in maniera rilevante, anche al primo turno per le elezioni amministrative a Como, Cantù ed Erba. Un tempo questa era una zona che, quando si trattava di scegliere sindaci e consiglieri comunali, toccava punte di partecipazione non lontane al 90%. Siamo scesi al 60. E c'è da pensare che oggi, tra la pioggia, la seconda chiamata in quindici giorni, i candidati sindaco e le liste che non ci sono più, la percentuale scenda ancora.
Il rischio è quello di trovarsi un primo cittadini eletto da meno di un terzo di coloro che sarà chiamato a rappresentare per i prossimi cinque anni. Certo, questa è la democrazia. Tra le sue regole c'è anche il diritto di non partecipare. E non è detto che gli assenti debbano per forza avere torto.
Le ragioni della disaffezioni sono note e stranote. La politica sempre più screditata per colpa di coloro che la praticano. Ma anche alcune tra le esperienze amministrative che si concludono oggi e sono state, per usare un eufemismo, poco esaltanti. Ecco perché gli assenti non hanno tutti i torti.
A loro però si potrebbe rivolgere un abusato invito. Anni fa, Indro Montanelli, esortò gli italiani, in occasione di una consultazione politica, a turarsi il naso e votare un partito ora estinto.
Questa volta basterebbe turarsi il naso e votare. Il migliore o il meno peggiore. Perché la scelta di oggi e domani a Como, Cantù ed Erba è cruciale per il futuro delle comunità. Si va a eleggere un sindaco che dovrà gestire una delle più difficile sessioni amministrative del dopoguerra. I problemi delle tre città sono dragoni fiammeggianti da combattere. La crisi mondiale ed europea non fa altro che fornire combustibile per alimentare il loro potere devastante. Un sindaco travicello, scelto da un parte ultra minoritaria degli elettori andrebbe in battaglia con le armi spuntati e le polveri bagnate.
Al contrario, un primo cittadino che possa contare su un consenso diffuso degli altri, sarebbe quantomeno confortato dalla consapevolezza di rappresentare una buona parte della sua comunità. E anche più responsabilizzato.
Le sfide che attendono i tre candidati che da domani potranno cingere la fascia tricolore sono tremende. Le casse dei Comuni sono vuote, i trasferimenti dello Stato un rubinetto che versa le ultime gocce. L'Imu è una patata rovente lanciata dal governo nelle mani dei primi cittadini.
I candidati sono consapevoli delle macerie su cui dovranno costruire. Questa campagna elettorale, a Como come a Cantù ed Erba si è distinta dalle altre. Nessuno ha fatto proclami roboanti, sfoggi di fantasia su grandi progetti e grandi obiettive. Forse perché è meglio non sprecare neppure le energie mentali per destinarle alla soluzione dei problemi di tutti i giorni.
Hanno bisogno di un sostegno anche morale questi poveri sindaci che saranno incoronati domani pomeriggio. Per una volta si potrebbero mettere da parte le tigne politiche, le appartenenze, le divergenze, la sfiducia. E guardare alle persone. Giudicarle per quello che sono, che hanno detto, per le loro azioni,. E fare un ultimo sforzo. Andare alle urne per non lasciare troppo solo chi sarà chiamato a contribuire al futuro delle nostre città. Che è anche il futuro delle nostre comunità, cioè quello nostro e delle nostre famiglie.
Non è tempo di sindaci travicelli.
Francesco Angelini
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