Me ne vado perché ricoprire quell’incarico mi ha danneggiato». Con questa motivazione, tra l’altro, l’ing. Antonio Viola ha spiegato le sue dimissioni da direttore dei lavori nel cantiere del lungolago. Eh sì perché alla fine il danneggiato è lui. Non la città, non i comaschi, non i turisti, non l’ex splendido paesaggio offerto dal lago prima della decisione di mettere i lavori delle paratie nelle mani di Viola. Una frase simile, forse, avrebbe potuto pronunciarla il comandante Schettino dopo aver abbandonato la Costa Concordia che andava a fondo. Il tecnico del Comune ha fatto di più. Ha lasciato il cantiere quando l’opera era affondata del tutto. Per fortuna nessuno, tantomeno il sindaco Mario Lucini, gli intimerà di tornare a bordo. Antonio Viola non è il solo responsabile del disastro delle paratie. Anzi, dal punto di vista politico, non lo è per nulla. E neppure da quello tecnico. Non può pensare però di chiamarsi fuori. Se non altro perché in questi lunghi anni di Como separata dal suo lago lui è sempre stato lì. A fare il carceriere del paesaggio tenuto in cattività. E per questo è stato anche più volte premiato dall’amministrazione comunale. Non pretenda però che le sue dimissioni possano essere considerate il beau geste del tecnico che si fa da parte dopo che il vento della politica è cambiato. Primo perché se un tecnico comunale si considera tale e ritiene di essere stato messo lì per le sue qualità professionali, dovrebbe essere impermeabile agli avvicendamenti di sindaci e assessori. Vero che il Viola è anche una tinta. Non dovrebbe essere però un colore politico. Con la sua scelta, l’ingegnere dimostra una volta di più di essersi legato, dopo tanti di attività a palazzo Cernezzi, quella sì, tecnica, a una parte politica. E lascia aperto perciò qualche interrogativo di un certo peso sul suo operato in quel cantiere. È inutile nascondersi dietro un dito. Viola avrà agito per il meglio dal punto di vista delle procedure nell’interesse generale o in quello di una parte che, seppure legittimo, non è necessariamente il migliore. Quando poi puntualizza di aver formalizzato le dimissioni il venerdì prima del ballottaggio, per sottolineare come la decisione sia stata presa prima del verdetto delle urne, mette una toppa peggiore del buco. Perché il venerdì prima del ballottaggio sapevano tutti come sarebbe andata a finire. Si trattava solo di capire l’affluenza e la percentuale con cui Lucini avrebbe vinto le elezioni. Perché Viola, se aveva deciso di lasciare il cantiere per tutelare la sua immagine, non lo ha fatto il venerdì precedente il primo turno, quando l’esito del voto appariva ancora incerto? Domanda che presuppone una sola risposta e chiude in maniera coerente una pagina tra le più ingloriose della storia amministrativa di Como. E ora attento Lucini. Sul lungolago non si può più sbagliare.