Telefonino
a scuola?
Vietarlo
non serve

  Fa bene il preside del Volta a vietare l'uso di Facebook a scuola. Anzi, no.
Il rischio di sembrare schizofrenici, quando si affronta il tema delle nuove tecnologie in classe, è alto. E non è necessariamente un demerito: bisogna valutare a fondo i pro e i contro, il progresso e i possibili effetti collaterali, prima di prendere delle decisioni.
Non è facile, da genitori, stabilire quali limiti porre ai figli, se in casa si ha la connessione a Internet. Figuriamoci quando il wireless arriva a scuola e il dirigente si deve assumere un'analoga responsabilità nei confronti di centinaia di ragazzi. Di sicuro, però, l'esperienza già fatta con i cellulari, è un precedente importante da cui si possono trarre alcuni validi insegnamenti, utili per gli educatori prima ancora che per gli allievi.
Vietare e basta non serve. Anzi, diciamola tutta: è diseducativo. Anche se a farlo è un ministro dell'Istruzione. Capitò con Giuseppe Fioroni, che nel 2007 firmò una circolare per bandire l'uso, e addirittura l'introduzione, dei cellulari a scuola. A suo dire si trattava di una linea dura necessaria dopo alcuni casi di videobullismo (il più grave a Torino, dove la vittima dei bulli digitali fu un ragazzo disabile). Ma a Como l'allora provveditore Benedetto Scaglione decise di disobbedire. In maniera costruttiva, naturalmente.
«Possiamo fare qualcosa, noi adulti, per educare i giovani a un uso intelligente e corretto di queste tecnologie, che comunque fanno parte della loro vita quotidiana?». Questa la domanda che pose allora Scaglione ai giornali e, per loro tramite, all'opinione pubblica. Da quella domanda nacque "Ciakkare - usa il cellulare con la testa", concorso per video intelligenti e creativi realizzati dagli studenti con il telefonino. Ormai, mentre è ai blocchi di partenza la quinta edizione, promossa come sempre dall'Ufficio scolastico in collaborazione con "La Provincia", oltre duecento filmati, con una partecipazione crescente da parte di intere classi coordinate da uno o più insegnanti, sono lì (sul sito del giornale) a dimostrare che un problema si può trasformare in un'occasione di crescita, in un progetto didattico. Certo, non mancò il primo anno qualche reazione negativa (per la verità una sola): «Ma come, io faccio la guerra ai cellulari a scuola e voi ne incoraggiate l'uso», rispose un preside bandendo, dal suo istituto, oltre ai telefoni, anche il concorso. Poi è cambiato il dirigente e quell'istituto (il Pessina) ha partecipato e vinto per due volte, ottenendo anche il risultato collaterale, grazie a un video di denuncia del degrado del cortile della scuola, di stimolare l'intervento risolutivo dell'Amministrazione provinciale.
L'evoluzione tecnologica, si sa, corre veloce. E ora, nel caso dei social network, il divieto di accedervi a scuola, firmato dal preside del liceo Volta, arriva dopo un corso di aggiornamento, promosso dallo stesso Ufficio scolastico provinciale, per formare i docenti a utilizzare Facebook e Twitter per la didattica e un concorso, lanciato dal Centro Volta e indirizzato alle scuole comasche, per dare risalto all'inventore della pila proprio attraverso il "libro delle facce", Youtube e affini. Senza contare che gli studenti, di solito più tecnologici del presidi, sanno benissimo che, se non si vuole che alcuni siti vengano utilizzati a scuola, basta bloccarli. E, i più svelti, sanno anche come aggirare i blocchi. Quindi, tanto vale tentare prioritariamente la strada dell'educazione a un uso consapevole, e tra le mura scolastiche anche didattico, di tutto ciò che la tecnologia porta nella nostra vita, nelle nostre case e nelle nostre aule.
di  Pietro Berra


 

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