L'America
va al voto,
vincerà
la divisione

  Adesso che siamo ad una manciata di ore dalle elezione americane, anche le televisioni italiane si sono accorte che quella fra Obama e Romney è stata una partita parecchio combattuta. Il devastante passaggio di “Sandy” sembra cospirare in favore di una vittoria del Presidente uscente. L'incumbent, essendo il Presidente degli Stati Uniti, cioè la figura politica più visibile non solo del suo Paese ma del mondo intero, gode di un vantaggio naturale.
Nell'ultimo secolo, di Presidenti che non siano riusciti a guadagnarsi la rielezione si ricordano soltanto William Taft (sconfitto da Woodrow Wilson), Jimmy Carter (battuto da Ronald Reagan) e George H.W. Bush (che perse contro Bill Clinton). Sarebbe ingeneroso includere nella lista Gerald Ford, sfortunato erede di Richard Nixon (che era al secondo mandato).
Barack Obama è stato un Presidente straordinariamente popolare - in Europa. Meno negli Stati Uniti, dove egli ha rappresentato un fattore di divisione piuttosto che di unità. Il partito repubblicano, tuttavia, pare essere stato incapace di sfruttare questa delusione. I maggiorenti del partito e i governatori che sembravano, sulla carta, capaci di attrarre un più vasto consenso hanno scelto di non correre. In buona sostanza, prima che avessero inizio le primarie del partito, erano tutti convinti che Obama fosse invincibile. È stato un macroscopico errore di valutazione, ma in assenza dei cavalli, hanno corso gli asini. Dalla competizione interna al campo repubblicano, Mitt Romney è uscito come l'unico candidato possibile. Romney è, a differenza di Obama, un uomo di straordinario successo. Ha fatto benissimo il suo mestiere di investitore di private equity, con la Bain Capital da lui fondata. È stato un eccellente organizzatore delle olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002. Era unanimamente considerato un ottimo governatore del Massachussets, stato pure tradizionalmente democratico. Il curriculum, l'esperienza, la capacità di gestire “ci sono”, per così dire. Il problema è che Romney si è trovato a recitare una parte non sua. Esponente dell'establishment, pragmatico per carattere, moderato nei toni, Romney ha dovuto sfidare il Presidente nella campagna elettorale più apertamente “ideologica” che si ricordi.
Per questo Romney ha voluto un vice con un profilo assai meno manageriale come Paul Ryan: che è a tutti gli effetti un politico-ideologo.
La corsa alla Presidenza si deciderà in pochi, cruciali stati “in bilico” - e chiunque vinca, ci consegnerà un'America fortemente polarizzata. E' importante poi non dimenticare che si vota anche per 33 seggi senatoriali e per la Camera dei Rappresentanti. Se i democratici si tenessero la Casa Bianca, e i repubblicani espugnassero i due rami del Parlamento, gli Usa si troverebbe ad avere esecutivo e legislativo l'un contro l'altro armati. Il che vuol dire che potrebbero calmierare l'uno gli entusiasmi dell'altro. Ma anche che, nella crisi globale, gli Stati Uniti non parlerebbero con una voce sola.
Alberto Mingardi

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