Adesso
la politica
risponda
alla piazza

Per la prima volta, in Europa un popolo di lavoratori e studenti si è ribellato alla paura di scivolare nella povertà. Abbiamo visto nelle capitali dell'Unione  manifestazioni imponenti contro la crisi e le politiche recessive  che hanno  coinvolto decine di milioni di persone.
Un atto che dovrà pur indurre i governanti europei, a cominciare dai tedeschi, a capire che è davvero  ora di imboccare la strada della crescita e dello sviluppo. Qualcuno ha detto: ma domani l'Europa sarà quella di ieri, avviluppata alle sue indecisioni, alle mezze misure, ai compromessi al ribasso, allo scontro tra egoismi come abbiamo visto quando i quattro "virtuosi" dell'Unione hanno provato a scippare gli  aiuti ai terremotati dell'Emilia Romagna. Eppure la scossa c'è stata. Questo non vuol dire che  i manifestanti abbiano indicato ai governi la strada giusta per uscire dal pantano o che sia  tornata l'ora di una nostalgia demodè, quella che prova  Susanna Camusso, per la piazza che dà l'assalto al Palazzo d'Inverno. No, non è questo. È che si tratta di capire che o l'Europa riprende la coscienza di se stessa, della forza che può esprimere solo se unita, della volontà di non essere ormai residuale rispetto alle potenze emergenti, oppure è destinata inevitabilmente  al declino. E la gente che era nelle piazze europee questo ha chiesto: vogliamo lavoro, vogliamo speranza, vogliamo poter progettare ancora un futuro per noi e i nostri figli.
Ma questo tipo di movimento di piazza, per quanto intenzionalmente pacifico,  ha una sua ruvidezza connaturata, e l'abbiamo visto con dispiacere nelle immagini di studenti e di operai che ingaggiavano battaglie con le forze dell'ordine, o di quei mascalzoni che rompevano le vetrine e incendiavano auto e cassonetti. E' inutile dividersi, come tanto piace a noi italiani, dando la solidarietà a questi piuttosto che  a quelli: un atto sbagliato è sbagliato e giustamente va represso per tutelare l'ordine: naturalmente serve misura democratica anche nella repressione.
Anche in Italia abbiamo visto queste scene brutte: a Roma, davanti alla Sinagoga con sedici agenti feriti; in Piemonte, per la consueta battaglia contro la Tav in Val di Susa, a Napoli. Erano insieme i lavoratori della Cgil in sciopero e gli studenti medi e universitari: tutti contro Monti e il suo governo. Il governo dei tecnici non può naturalmente raccogliere il  significato pur positivo che è venuto, aldilà di tutto, delle violenze e persino degli slogan spesso rozzi e ingiusti,  da quelle manifestazioni, il segnale di una volontà di ripresa. Non può, il governo dei tecnici, perché non ha più il tempo e nemmeno la missione, non essendo rappresentativo di un elettorato ma solo di una necessità, quella di salvare l'Italia dal baratro, compito assolto  egregiamente e di cui dovremo sempre essere grati. Ma è  la politica  che deve  aprire gli occhi, e deve capire che la sua funzione è proprio quella di rappresentare il  dolore del Paese e ad esso dare risposte, indicare prospettive, dare speranza.
Andrea Ferrari

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