L'eterno
capolinea
dei treni
lombardi

Difendere i pendolari - razza dannata ma non vile - è in apparenza il lavoro più inutile del mondo. Fiumi di parole al calor bianco potremmo eruttare dall'alto della nostra indignazione senza che nessuno, annidato negli enti locali, nei consigli d'amministrazione o anche semplicemente a capo di una stazioncina, si senta tirato in ballo e avverta nello stomaco il disagio di un senso di colpa. Mettiamola così: difendere i diritti dei pendolari è inutile quanto elogiare le giacche di Formigoni. Una battaglia persa.
Perché, dunque, dilungarsi ancora sui disservizi delle ferrovie lombarde? Per un motivo quasi storico: perché, almeno, le "malefatte" non passino inosservate e perché qualcuno, sia pure la mano di un cronista che, come è noto, scrive sull'acqua, non manchi di annotarle.
Il pasticcio più recente è accaduto a Cantù, dove alcuni viaggiatori sono stati "abbandonati" in stazione con la promessa di un bus sostitutivo che avrebbe dovuto riportarli a casa. Il bus non si è mai visto e, non si fossero arrangiati altrimenti, i pendolari starebbero ancora aspettando. Un episodio piccolo, nonostante grande sia stata l'irritazione di chi lo ha vissuto, e forse andrebbe archiviato sotto la voce "incidente di percorso" non fosse che, come ben sa chi frequenta Trenord, piccoli e grandi incidenti (fatti di ritardi, dimenticanze, sciatteria e approssimazione) sono all'ordine del giorno. Basta chiedere agli studenti che, ogni mattina, raggiungono le scuole superiori di Como schiacciati come sardine, in condizioni, così a occhio, di scarsa sicurezza nel caso di manovre d'emergenza: una volta a destinazione, in classe, un test di matematica e due ore con la testa china su Kant dovranno sembrar loro leggeri come una passeggiata in riva al lago.
Insomma, fatta la lunga addizione delle tante manchevolezze del trasporto ferroviario regionale, il risultato è inequivocabile: il bilancio è negativo. Sentiamo già le obiezioni che, con implacabile automatismo, i vertici politici e manageriali ci rivolgeranno: colpa dei tagli di Roma, facciamo quello che possiamo, i ritardi sono diminuiti rispetto a cinque anni fa, abbiamo investito tot milioni, bisogna aver pazienza e ci scusiamo per eventuali disagi: tutte parole corrette, perfino dignitose e, in qualche caso, addirittura vere. Peccato rivelino, in trasparenza, la verità più amara: nonostante il treno sia il mezzo di trasporto quotidiano per migliaia e migliaia di persone, nonostante gli investimenti e i cantieri aperti qui e là, nella ferrovia non è riposta alcuna fiducia per il futuro, non si intravede (salvo, forse, per l'area metropolitana milanese) l'applicazione di formule flessibili già ben sperimentate all'estero. Più in generale, non si "legge" nell'impegno degli amministratori la volontà di arrivare a quel grado di appetibilità, affidabilità e convenienza che, solo, può eleggere il treno ad alternativa concreta all'automobile la quale, senza voler fare gli ultras dell'ambientalismo, fatalmente sembra destinata, nel lungo termine, a un ripensamento, se non a un vero e proprio ridimensionamento.
Fa male vedere un mezzo come il treno vivacchiare, accontentarsi di cambiar livrea di tanto in tanto, di aggiungere un tornello qui e uno schermo tv là, tanto per far credere di essere entrato nel ventunesimo secolo. E fa male vedere i passeggeri trattati come incomodi pacchi, come ottusi seccatori. Viene in mente una vecchia sit-com inglese nella quale un albergatore scorbutico finiva per lamentarsi: «Il mio è un business meraviglioso. Se solo riuscissi a sbarazzarmi dei clienti...»
Mario Schiani

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