Il dolore
in piazza
schiaffo
al governo

Luca arriva ed è immobile, disteso sopra il lettino. Le coperte gli risparmiano solo il viso. I suoi occhi dicono tutto; non sono spenti, sono accesi di una strana luce, forse di speranza. Lo accolgono al grido di: «Luca tieni duro, vedrai, ce la faremo».
Lui è uno dei tanti malati di Sla che l'altro giorno si sono dati appuntamento davanti al ministero dell'Economia. Per noi che abbiamo dovuto e voluto guardare quelle immagini, è stato uno spettacolo doloroso, quasi insopportabile. C'erano i malati con i loro corpi consumati dalla Sla, sulle loro carrozzelle, con il respiratore a tempo attaccato. Cosa chiedevano? Che venisse rivisto il taglio ai contributi alle famiglie. Chiedevano duecento milioni in più, una cifra tagliata dal governo alla caccia di ogni possibile risparmio. Da lì non se ne sarebbero andati se non davanti ad assicurazioni e garanzie. Anche a costo di morire
Duecento milioni per garantire a poche migliaia di famiglie un conforto economico nella loro battaglia quotidiana contro una malattia implacabile che cambia radicalmente la vita di chi è colpito e di chi spende la propria esistenza ad accompagnare i malati nella loro quotidiana resistenza. Da mesi giungevano avvertimenti dai malati e dai loro cari: non toccate i fondi. Ma si è dovuti giungere ad una drammatica manifestazione. I malati hanno dovuto vincere la vergogna forse, sicuramente la ritrosia, a mettere il proprio dolore in piazza. Alla fine i duecento milioni sono stati trovati, è vero. Ma la notizia non è questa. La notizia è che si è dovuti giungere fino allo sciopero della fame e alla minaccia di suicidio, perché venissero garantiti.
Ma in che Paese viviamo se la politica non è più nemmeno in grado di valutare quali sono le priorità intoccabili? Non bisogna essere dei tecnici sapienti, basterebbe semplicemente del buon senso per capire che quando la crisi morde si può rinunciare a tutto ma non all'assistenza a chi è malato e a chi resta gli resta accanto, condividendone dolore e speranze. Dovremmo inchinarci di fronte a malati e famiglie che hanno deciso di lottare fino all'ultimo respiro, fino all'ultimo istante di vita, senza rinunciare alla propria dignità. Ed invece siamo costretti ad assistere agli insopportabili deliri di una classe politica che non rinuncia a nulla, ma che è in grado di togliere briciole di sopravvivenza a chi soffre. In piazza accanto ai malati e alle loro famiglie non si è visto nessuno. A dir la verità c'era solo Ignazio Marino che si è speso per riportare il governo alla ragionevolezza. Ma di tutti gli altri non c'era traccia, erano tutti indaffarati a garantirsi un futuro nella casta che verrà.
Quelle barelle, quei lenzuoli, quei respiratori, quei volti segnati dalla fatica, quegli occhi accesi solo dalla speranza, sono stati uno schiaffo tremendo alla classe politica e al governo. Che non accada mai più, questo ci sentiamo di pretendere. Se fossimo di nuovo costretti a riempire una piazza di dolore per vedere rispettato il diritto all'assistenza, vorrebbe dire che il nostro Paese ha definitivamente perso la speranza.
Massimo Romanò

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