Lo spettro
di un nuovo
Palababele
e il piano B

Si pensava che l'abbattimento del Palalababele avesse cancellato vent'anni di vergogna, che la sola scomparsa del piramidone rosso potesse resettare la memoria collettiva su uno scandalo che infangava l'operosa Brianza assai più di un viadotto incompiuto in Meridione «perché da noi mica succedono quelle cose lì».
Invece accadono, anche se i protagonisti si esprimono in accento brianzolo o camuno. Anzi, «qui da noi» tali vicende riescono anche a perpetuarsi, come nel caso del palasport di Cantù, che pare essersi infilato in uno di quei tunnel che finiscono contro la montagna, tipo Valsolda.
Un ginepraio che a differenza di quello del Palababele confonde maggiormente ruoli e responsabilità e, soprattutto, nasconde le vie di uscita.
Per lunghi mesi la vecchia amministrazione, che pure la sua parte l'aveva fatta, si era accontentata di tranquillizzazioni e rassicurazioni senza fare pressing. «Meglio partire tardi e bene che non bruciare le tappe», dicevano. Intanto i mesi passavano.
In aprile, a venti giorni dalle elezioni, ci avevano pure portato ad assistere alla posa della prima pietra, elmetto in testa e un tot di politici in parata. E quest'estate ancora dentro al cantiere a spiegarci che il problema era un palo della luce che non si riesce a spostare, e poi i problemi con i frontisti e la falda acquifera che va bonificata ma, guardate, c'è già la base della piscina bella e fatta e ci sono i pali portanti. Caspita.
Poi è cambiata l'amministrazione e le rassicurazioni della Turra hanno cambiato destinatario, la giunta Bizzozero. La quale, dopo avere usato all'inizio la doverosa cortesia, ha perso in fretta la pazienza. Con Bizzozero la pazienza l'ha persa il signor Cinelandia, Paolo Petazzi, il quale, non avendo il problema del consenso ma quello dei soldi da rischiare, ha usato l'uscita di sicurezza e si è sfilato dall'operazione. Quindi, niente cinema multisala nel palasport e via una buona fetta degli spazi già affittati.
Proprio ieri da Roma sono arrivati i soldi che erano bloccati dal Coni. Bene, grazie a tutti quelli che si sono interessati. Ma non sono decisivi rispetto all'investimento da 50 milioni - dicono - che Turra dovrebbe affrontare per finire la struttura. E proprio oggi scende in campo con chiarezza la Pallacanestro Cantù (nelle pagine di sport c'è l'intervista all'ad Orthmann) che dopo avere fatto lungo esercizio di santa pazienza, dice come stanno le cose: senza palasport il futuro del basket è a rischio. Rischio serio. Non c'è in ballo soltanto il trasloco a Desio, ma la stessa sopravvivenza della società. E se i Cremascoli vendessero, di questi tempi e senza palazzetto, scordiamoci i compratori.
Adesso il cantiere è praticamente fermo e anche se da domani si lavorasse 24 ore su 24 ben difficilmente l'opera potrebbe finire entro maggio. Non solo: vien da chiedersi se finirà mai l'opera. Questo è il nodo: Turra è in grado di terminare il palasport? I dubbi ci sono e il comportamento e i silenzi dell'azienda bresciana non fanno che alimentarli. E se Turra non fosse nelle condizioni di costruirlo, che cosa succederebbe? In maggio il Comune potrebbe legittimamente rescindere il contratto, incassare la fideiussione e uscirne, mettendo in conto ricorsi e controricorsi. Ma Cantù resterebbe senza palazzetto, la squadra sparirebbe e tutti gli attori, presenti e passati, farebbero una figura barbina assai. Naturale che procedano con i piedi di piombo. Ad eccezione del sindaco, a dire il vero, ma fa parte del personaggio.
Come uscirne, nel caso? Un'ipotesi l'ha buttata là Orthmann, quando ha accennato a una "soluzione B" cui starebbe pensando il sindaco. Cosa sia esattamente questa soluzione, nessuno lo dice. Potrebbe però assomigliare alla costruzione di un palasport meno faraonico, usando i fondi pubblici già stanziati, magari incrementati dal via libera a qualche insediamento commerciale mirato. Ma non è cosa che si realizzerebbe a breve termine. A quel punto, forse, il minore dei mali.
Mauro Butti

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