Anche Gesù
sarebbe
finito
su twitter

Ricevendo i giornalisti che avevano seguito il conclave appena concluso, il 1 settembre 1978, il neo-eletto Giovanni Paolo I spiegò che se san Paolo tornasse oggi sulla terra, non solo farebbe il giornalista, non solo chiederebbe di dirigere la grande agenzia d'informazione Reuters. Chiederebbe di più. Oggi san Paolo, disse Papa Luciani, andrebbe dal presidente della Rai come da quello della Nbc per chiedere loro un po' di spazio in TV. Il suo successore Giovanni Paolo II ha mostrato di saper usare benissimo i media e all'inizio del terzo millennio ha spedito via email un'esortazione apostolica alla Chiesa australiana con un clic sul PC portatile.
Seguendo questa scia tracciata da chi lo ha preceduto, oggi Papa Ratzinger sbarca anche su twitter, mostrando di voler usare tutti i media e i social media perché li considera un'opportunità, un'occasione, una sfida. Comunque un «luogo», seppur virtuale, dove l'annuncio del Vangelo e la voce della Chiesa non devono mancare.
La scelta di Benedetto XVI, che dal 12 dicembre invierà i suoi tweet dall'account @pontifex_it, è stata guardata con una certa sufficienza da qualche ambiente ecclesiale e curiale. In effetti, la realtà virtuale non è la realtà; la rete e i social network non potranno mai sostituire il rapporto tra persone in carne e ossa, che si parlano guardandosi negli occhi.
Il Cristianesimo in questi duemila anni si è diffuso sempre e quasi soltanto così, da persona a persona, attraverso circostanze e incontri reali, tra persone reali. Ma fermo restando che la realtà virtuale mai potrà sostituire il rapporto personale – non ci può, ad esempio, confessare via Internet – Papa Ratzinger non vuole rinunciare a cogliere questa occasione, questa sfida. Lui, che non usa il computer e che scrive i suoi libri e i suoi discorsi a mano adoperando la matita, ha deciso di proiettarsi nel mondo dei messaggini di 140 caratteri, in grado di raggiungere in un battibaleno tutti i followers, cioè coloro che lo seguono (in poche ore, ieri, erano già più di centomila).
Una decisione, quella del Pontefice, che potrebbe essere salutare per la Chiesa intera, la quale pare talvolta vittima di un eccesso di verbosità, di parole, di linguaggi ridondanti e autoreferenziali. Il messaggio finale al popolo di Dio dell'ultimo Sinodo sull'evangelizzazione – peraltro bellissimo – era lungo dieci pagine e mezza. E tanti altri documenti soffrono di questo eccesso di parole. Rischiamo insomma di passare dal Verbo che si fece carne al Verbo che si fa carta, rischiamo quella malattia che Vittorio Messori ha definito «documentite». La Chiesa produce documenti su documenti, testi su testi, parole a non finire. Ma non sempre riesce a raggiungere i lontani, chi non crede, chi ha perso la Fede.
Dover comunicare un'idea, un messaggio, un contenuto anche profondo in soli 140 caratteri è dunque un esercizio che risulterà sicuramente salutare. E che riporterà la Chiesa moderna più a contatto con quella delle origini. Il Vangelo – eu-angelos, buona notizia – è una comunicazione asciutta, ancorata alla realtà, racconta fatti senza inutili aggiunte. Basta leggere, ad esempio, alcuni di questi tweet «ante litteram», tutti di misura inferiore al massimo dei caratteri consentiti: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato»; «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?»; «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati»; «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro»; «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra». L'autore è noto, e di comunicazione se ne intendeva. Il Papa, suo vicario, non fa altro che seguirne le orme. Anche su twitter.
Andrea Tornielli

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