Crimini
e testimoni
da usare
con prudenza

  Me lo hanno raccontato qualche tempo fa, a un congresso di criminalistica. Si tratta di uno degli esperimenti a cui sono sottoposti, loro malgrado, i giovani agenti dell'Fbi durante il programma d'addestramento. Nel bel mezzo di una lezione, uno sconosciuto in borghese apre la porta e senza salutare né chiedere scusa, attraversa l'aula e va a chiudere una delle finestre, per poi girarsi e uscire senza aver detto una parola. Dopo una ventina di minuti, l'istruttore si blocca e chiede alla classe di descrivere l'uomo. Altezza, peso, corporatura colore dei capelli, vestiti, caratteristiche particolari. Il risultato è imbarazzante, tanto diverse sono le risposte.

Ma al livello superiore, al corso degli agenti speciali, va ancora peggio. Perché chi interrompe le lezioni è un tizio che tira fuori una pistola e comincia a sparare. Le reazioni sono delle più varie, da chi rimane impietrito a chi si butta sotto il banco cercando riparo. L'arma è ovviamente caricata a salve, e non ci si fa male, salvo quando tocca a ciascuno degli studenti ricostruire l'accaduto.

Qualcuno parla di un caricatore svuotato, qualcuno di un paio di colpi, ci sono agenti che hanno visto scorrere del sangue e chi nemmeno ha notato che il tizio squilibrato aveva un'arma. Non sono certo che sia stata l'Fbi ad avere inventato questi giochetti, e certamente non è solo il Bureau a praticarli. Servono a una cosa però, a far comprendere come le testimonianze sulla scena di un delitto sono sempre da prendere con grande prudenza, anche se chi dice d'avere visto tutto appare sufficientemente intelligente ed equilibrato. Certo gli esperti hanno studiato qualche tecnica che permette di rendere più oggettiva la memoria di un delitto.

Prendete a esempio il cassiere di una banca appena rapinata. Chiedergli semplicemente cosa è successo può dare risultati, ma c'è un sistema più efficace, in tre passaggi. La prima volta si inizia col racconto di tutto ciò che l'uomo ha fatto dalla mattina sino al momento del crimine, senza saltare un passaggio. Ricondurre un fatto dentro una successione di avvenimenti rende la testimonianza più accurata e permette di recuperare particolari che, in un primo momento, non venivano fuori. Il secondo passaggio consiste nel chiedere lo stesso racconto, ma al rovescio, partendo cioè da quel momento e andando indietro. Terza e ultima richiesta al nostro cassiere, quella di dirci quello che è capitato da un punto di vista diverso, come se lui vedesse la scena della rapina da una telecamera posta a qualche metro di distanza. È una delle tante tecniche, forse tra le più semplici ed efficaci. Per non rischiare la figura dei nostri agenti dell'Fbi, e andare a caccia delle persone sbagliate.

Detto delle problematiche generali, veniamo al testimone più imbarazzante che le cronache hanno registrato negli ultimi anni: Michele Misseri. In settimana lo abbiamo sentito raccontare in aula che è lui l'assassino della piccola Sarah, che figlia e moglie non c'entrano, e se le ha coinvolte è solo perché indotto dal suo avvocato e relativa consulente. Per quale motivo, difficile coglierlo.

Era abbastanza scontato che Misseri ribadisse la sua responsabilità, ed è facile predire che il fatto non sposterà gli equilibri del processo. Non tanto e non solo per le tante versioni fin qui offerte sulla morte della nipote, ma perché un giudice ha deciso che non ci fossero elementi per rinviarlo a giudizio per omicidio, ma solo per occultamento di cadavere. Come il magistrato sia giunto alla certezza che Michele sia arrivato sulla scena del crimine a dramma avvenuto, è per me ancora un mistero; certo che averlo escluso dagli indagati, rende più semplice liquidarlo come inaffidabile.

Il processo per il delitto di Avetrana si muove su un gran numero di ipotesi e suggestioni, e su nessuna prova scientifica. Abbiamo testimoni che accusano e poi ritrattano, che affermano di aver visto Cosima e Sabrina afferrare Sarah per la strada, per poi attribuire i ricordi a un sogno. Qualcuno è pronto a giurare che Sabrina ha ucciso per gelosia, peccato che lo stesso oggetto del desiderio, tristemente ribattezzato «l'Alain Delon di Avetrana», neghi l'ossessione amorosa.

A Michele viene contestato di mentire, perché appare più spigliato nella ricostruzione dell'occultamento del corpo di Sarah che nel mimare lo strangolamento; peccato che vi siano decine di esempi di soggetti incapaci di rammentare i drammatici momenti di un'aggressione, terminata la quale avevano ripreso una buona lucidità. Ci sono false testimonianze in malafede, altre sinceramente credute, frutto inconsapevole del desiderio di partecipare, d'essere protagonisti. Un'ultima riflessione sulla memoria. Il mondo della psicologia, clinica e forense, si è trovato diviso e schierato, quantomeno fino a quando non è scesa in campo Elizabeth Loftus, un'autorità in materia, dichiarando come fosse dimostrato dai suoi studi che la memoria è soggetta a distorsioni, errori e suggestibilità. E uno dei casi che la stessa Loftus ha seguito è quello di Nadean Cool, infermiera del Wisconsin, che nel 1986 fissò un appuntamento con uno psichiatra, nella speranza che l'aiutasse a gestire le proprie reazioni di fronte a un'esperienza traumatica vissuta dalla figlia. La terapia si presentò certamente complessa, e lo specialista fece ricorso all'ipnosi.

Nel corso del trattamento, la Cool si convinse gradualmente di portare in sé ricordi repressi di coinvolgimenti in riti satanici in cui era stata violentata, costretta a cibarsi di parti di bambini, d'essere stata costretta ad assistere all'omicidio del suo amichetto di otto anni. Giunse a credere di possedere più di cento personalità differenti, di bambini, di adulti, di angeli, e fu convinta di avere sperimentato gravi abusi sessuali e fisici.

Lo psichiatra giunse a sottoporla a rituali d'esorcismo e, nel corso di un incontro durato cinque ore, la cosparse d'acqua santa intimando a satana di abbandonare il corpo della sua paziente. Quando la donna si rese conto che i falsi ricordi le erano stati «suggeriti» dal terapeuta, lo citò in giudizio. Lo psichiatra fu condannato a un risarcimento danni pari a due milioni e quattrocentomila dollari.

Massimo Picozzi

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