La giustizia soffocata dai diritti immaginari

Qualche giorno fa in Corte di Cassazione è stata depositata una sentenza che non solo dal punto di vista del diritto ma anche da quello del costume traccia una rotta.
Un avvocato aveva chiesto oltre quattrocentocinquantamila euro di risarcimento allo Stato (cioè alle nostre tasche): il danno, a suo dire, gli derivava dal cattivo funzionamento delle cancellerie e degli altri servizi dei tribunali, che lo aveva costretto a sacrificare il suo tempo libero dovendo lavorare più a lungo.
Dopo avere perso due volte, in primo grado e in appello, ha fatto anche ricorso in cassazione.
Ha avuto torto anche lì: i giudici hanno scritto a chiare lettere che un libero professionista deve sapere quanti impegni può gestire in un tempo ragionevole; e che non si possono risarcire "danni futili" per "diritti immaginari": come il preteso diritto al tempo libero.
La reazione è proporzionata all'azione.
Un'azione che si inserisce nella sempre più diffusa e sempre meno razionale voglia di pretendere.
"Mi spetta", "è un mio diritto", "vogliamo giustizia": da sgangherate trasmissioni televisive dove un presentatore urlante, un'attrice decaduta, un onnisciente "criminologo" blandiscono patetiche comparse, la terminologia e le pretese passano nelle mani di avvocati che proclamano di poter ottenere risarcimenti milionari e talvolta di giudici tentati da esercizi di fantasia.
Dimenticando che vivere in una società complessa e possibilmente ordinata significa saper sacrificare ciascuno qualcosa.
Ci vogliono tempo e fatica per rispettare una fila, le regole, il lavoro altrui, compreso quello dei dipendenti pubblici che si impegnano per fornirci un servizio.
Ci vuole intelligenza per ricordare, nelle piccole vicende quotidiane e senza trovare la facile scusa di presunte colpe della "politica", l'insuperabile lezione di John Kennedy: "non chiedere che cosa il tuo Paese può fare per te; chiediti che cosa puoi fare tu per il tuo Paese".
Non c'è bisogno di pronunciare un discorso presidenziale: basta non vantare il diritto di posteggiare con i lampeggianti bloccando la strada per ritirare la spesa in negozio o un figlio a scuola; basta non viaggiare a ottanta all'ora al centro dell'autostrada per sentirsi più comodi e buttare al vento i miliardi spesi per la terza corsia; basta non mettere sempre il prefisso "mala" alle attività di cui ci dichiariamo insoddisfatti senza neanche sapere bene perché.
Il pericolo concreto è che la gramigna dei diritti immaginari rivendicati dai rancorosi e dagli inconsapevoli soffochi l'erba buona dei diritti dei cittadini ragionevoli e solidali.

Giuseppe Battarino

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