Fabrizio Corona, sia chiaro, non piange. Scappa, ma non piange. E guai a dire il contrario. Ieri ha minacciato i giornalisti: «Chi scrive che ho versato una lacrima (davanti agli agenti che lo hanno arrestato, NdR) dice una bugia e io lo querelo». Nel mondo tatuato del photoagent siciliano piangere è una debolezza inaccettabile. Peggio: una stortura caratteriale, una forma di impotenza morale, che, semmai dovesse venir insinuata, diverrebbe all'istante materia diffamatoria. Guardare dal buco della serratura non è vergogna, singhiozzare sì: un'ignominia tremenda. Un po' come ammettere di avere votato Psdi alle politiche del 1983.
Il problema, qui, non è convincere Fabrizio Corona che piangere non è né peccato né disonore. Pare improbabile riuscire a convincere un tipo simile che si tratta di un moto soltanto umano e che molto più sconcio è invocare a casaccio, come ha fatto lui mentre lo portavano in carcere, il rispetto di non meglio definiti «diritti umani». Come spiegargli che diritti umani sono in realtà cose di cui avverte la mancanza gente rinchiusa in prigioni cinesi, o sudamericane, o africane e perfino, in certi casi, in galere italiane? Questi prigionieri nulla hanno a che vedere con Corona e certo non gradirebbero vederselo assegnare come compagno di cella perché va bene la privazione della libertà, va bene la tortura, va bene Guantanamo, ma aggiungere al martirio le barzellette proprio non si può.
Se inutile è tentare di convincere Corona, è doveroso però ribadire il concetto a noi stessi: piangere non è vergogna, riconoscere di aver pianto (come Corona ha probabilmente fatto, anche se lo nega) non è diffamatorio.
Piange Dante - canto III dell'Inferno - nel sentire i lamenti dei dannati: "Quivi sospiri, pianti e alti guai /risonavan per l'aere sanza stelle, / per ch'io al cominciar ne lagrimai". E se piange Dante, che pure si consolava alla luce della bellezza di Beatrice e non con le smorfie opache di Belen, allora possono piangere tutti. Perché "sospiri, pianti e alti guai" oggigiorno non mancano: a nessuno di noi personalmente e, purtroppo, anche alla società in generale. Non piangere, sarebbe il vero reato. Dimostrare di non aver cuore abbastanza da degnare i dolori nostri e altrui della dignità di una lacrima, ecco la vergogna inaccettabile, la condanna, addirittura, per la quale l'Alighieri dovrebbe scavare un nuovo girone nelle profondità dell'Inferno. Lasciateci il pianto, insomma: altro non c'è che ci dimostri degni della vita e delle sue eventuali gioie. Quanto a Corona, se non vuole ammettere di aver pianto per ciò che gli è capitato, ascolti Dante e pianga per l'uomo che gli è toccato diventare.
Mario Schiani
© RIPRODUZIONE RISERVATA