Il Comune di Como ha 12 milioni di debiti con le imprese e i fornitori. L'assessore al bilancio, Giulia Pusterla, ha assicurato ieri che Palazzo Cernezzi pagherà tutto, fino all'ultimo euro, entro la fine dell'anno. Pacta sunt servanda, dicevano i latini. Impegnarsi a rispettare gli impegni è sintomo di correttezza e lealtà nei confronti di chi ha lavorato per te, deve pagare i materiali e assicurare gli stipendi ai dipendenti.
Ed è a maggior ragione lodevole in un periodo di crisi come l'attuale, quando dall'altra parte ci sono fornitori e imprese spesso in grave difficoltà e che vacillano in attesa di incassare i crediti. Bene. Cioè male. Il problema è che per saldare i 7 milioni ereditati dalle amministrazioni precedenti e i 4,5 per lavori già previsti nel 2013, Palazzo Cernezzi sarà costretto a tagliare ulteriormente la spesa corrente e a procedere con decisione sulla strada delle alienazioni. L'idea che il Comune debba vendere i gioielli di famiglia per tenere in piedi la baracca può anche andar bene in una situazione eccezionale, ma attenzione: se diventa la regola si sconfina nel tragico. Il patrimonio della città è ricco, ma c'è un limite che non va oltrepassato perché, di regola, i debiti devono essere pagati seguendo i canali ordinari dell'amministrazione.
Di più. Annunciare tagli significa sicuramente ridurre gli sprechi, ma ormai non è rimasto granché da raschiare sul fondo del barile. Tagli, quindi, significherà inevitabilmente anche - se non si vuole alzare le tasse o le tariffe delle prestazioni a domanda individuale - ridurre il livello dei servizi. E questo vuol dire far pagare a qualcun altro i conti del meccanismo assurdo introdotto dal patto di stabilità e dal fondo di solidarietà. Non allo Stato, ai parlamentari o a chi sa promettere sacrifici solo agli altri, bensì ai soliti noti: i cittadini. Comaschi, in questo caso.
Il sindaco Mario Lucini condivide la protesta dell'Associazione dei Comuni d'Italia, che batte cassa per avere dallo Stato 9 miliardi e sbloccare così i pagamenti alle imprese creditrici, minacciando in caso contrario di sforare il patto di stabilità. Ma è anche realista, al punto di riconoscere che una mossa simile «provocherebbe danni devastanti sul bilancio». Quindi? Non volendo alzare le tasse - ieri Lucini ha ribadito che non aumenterà l'aliquota Imu - non resta che una ricetta purtroppo ben nota ai comaschi: arrangiarsi tra tagli e alienazioni. Il problema è che la coperta è davvero corta e se la tiri da una parte rischi di rimanere scoperto dall'altra. Così l'assessore Pusterla, commercialista di razza probabilmente poco avvezza al ricamo, deve adattarsi alla vecchia specialità delle casalinghe: il taglia e cuci. La mission impossible del Comune, nei prossimi mesi, è proprio questa: trovare un punto di equilibrio tra una spesa che deve essere per forza di cose attenta, oculata, parsimoniosa e trasparente e il livello dei servizi, che Palazzo Cernezzi deve garantire senza ricorrere ad appesantimenti impositivi o a tagli draconiani.
Non sarà facile. Il 2013 si annuncia cruciale per l'amministrazione Lucini, che si giocherà certamente la propria credibilità non solo sulle paratie, la Ticosa e il decoro della città turistica, ma anche sulla capacità di trovare una sintesi equilibrata tra le esigenze di bilancio e la qualità dei servizi. È questo che la città chiede a chi ci amministra nei tempi grami: conciliare ciò che è apparentemente inconciliabile. Perché il conto da pagare non finisca sempre sulle spalle dei soliti noti. I cittadini.
Emilio Frigerio
© RIPRODUZIONE RISERVATA