Il dato di fondo è che ognuno di noi, bimbi e anziani compresi, quest'anno darà allo Stato quasi 12 mila euro in tasse e imposte varie. Una cifra in crescita costante dagli anni Ottanta e che ieri l'Istat ha tradotto in un altro numero da far tremare i polsi: la pressione fiscale nel quarto trimestre del 2012 é salita al 52% con un aumento di 1,5 punti percentuali sullo stesso trimestre del 2102. E poco serve che a livello statistico il dato della pressione fiscale annua sia inferiore, "solo" al 44%. Un dato statistico, perché nato dal rapporto fra gettito e Pil e lascia fuori quella "bazzecola" del sommerso, qualcosa come 332 miliardi di evasione fantasma. Con quest'ultima voce la pressione fiscale reale salirà quest'anno al 54,3%, come ha calcolato la Confcommercio.
Con queste cifre non serve essere economisti per capire che non c'è domani, non ci può essere crescita che tenga, soprattutto in uno Stato che ha 2 mila miliardi di debito, che ne paga 90 all'anno solo d'interessi e ha un Pil profondamente in negativo. Ecco quindi che, in attesa del colpo definitivo che potrebbe arrivare con il ritocco dell'Iva da luglio, insieme a quei 40 miliardi alle imprese, il governo - qualsiasi sia - non può sfuggire alla sfida decisiva. Serve il lavoro, ma è necessario anche che chi un'occupazione ce l'avrà o ce l'ha non si vede dilapidare lo stipendio dalla messe di imposte, tasse e tributi, locali e non. La strada principale potrebbe essere quella di un intervento sul cuneo fiscale, laddove il peso del fisco sulla busta paga, secondo il rapporto Ocse "Taxing Wages", nel 2011 è stato del 47,6%, contro una media Ue del 35,3%. Su questo parametro si giocano anche le possibilità delle aziende, oltre che quelle di spesa dei lavoratori, di riprendere a crescere e sfidare alla pari la concorrenza mondiale.
Bene i soldi dovuti, ma in cima all'agenda di qualsiasi presidente del Consiglio non può mancare la voce "costo del lavoro" che porta i salari italiani ad essere fra i più bassi d'Europa: se un single italiano guadagna 25 mila euro netti l'anno, un suo pari inglese ne intasca quasi 39 mila, un tedesco 33 mila, un francese poco meno di 30 mila. Oltretutto il peso fiscale in Germania è addirittura superiore. Non serve forse una correzione immediata e definitiva?
Umberto Montin
© RIPRODUZIONE RISERVATA